Anteprima editoriale: “Cedere e altre cose dette d’amore” di Alessandro Ardigò | L’Altrove
Sul grande mare dell’Essere vi sono infiniti porti per le navi che lo solcano. L’Io è una piccola barca in quell’immensità e cerca di attraversarla fra giornate cristalline, fortunali e improvvisi cedimenti. Sono situazioni in cui la «navicella» del Sé si inabissa nel grande mare, oppure veleggia nell’aria in un cielo di puro azzurro. Lo spegnersi dell’Io, il suo cedere appunto, può portare a momenti di libertà e di apertura così come ad episodi di chiusura e ripiegamento.
«Cedere e altre cose dette d’amore» descrive una realtà rarefatta e allo stesso violenta in cui ogni affetto o moto dell’anima può mutare in maniera repentina. Ecco allora il piacere, l’amore, gli elementi della natura, ma anche la visione, il coma, la morte che galleggiano come pezzi di complessità su questo grande mare che ci è dato di vivere.
Dalla Quarta di copertina.
*(i numeri corrispondono alla numerazione delle poesie all’interno del libro, che in totale sono 79 più le prose ad inizio di ognuno dei sette capitoli).
2.
Come il garrito di rondini nere
è il piacere. Nelle sere d’estate
esse coprono voci umane
che strepitano nelle piazze.
Le parole si spengono
in quel muro sonoro.
Silenzio disadorno
– quasi uno scorno –
come il piacere.
17.
Un lenzuolo blu è steso è lo stesso di quando ero bambino e qualche sera lo posso ancora usare, sdraiarmici sopra. Dà lo stesso piacere al tatto di allora. Spero non bruci un giorno o smetta di darmi piacere: ho contato le onde su di esso cucite in rilievo con le mie cosce, con le mie dita, ho perso il conto e le onde sono ora denti passati in rassegna con la lingua come collane di perle e gli occhi sono cascati dentro me, mentre il lenzuolo e il soffitto assieme cadevano assieme alla casa assieme a tutte le stelle che punteggiano il cielo e lo tengono fisso qui su. Ogni puntello è un ricordo, oh quando perdo un ricordo si stacca un brano di me, quando lascio il conto dei denti e un pezzo di trama si strappa. Sono pezzi che galleggiano in un mare d’aria la notte infuocata, momenti, meteore dalla coda di fuoco. Gli occhi non risalgono più.
29.
Così tante sere che ceno solo
cercando fra i riflessi della porta
a vetri della umida cucina
di vapore della cappa i piatti
da lavare le pentole il lavabo
chi oggi apre quella porta svestendosi
il cappotto madido di città
di macchine di metro e di rumori
dicendo sono a casa sono qua.
Io cerco fra i vetri della porta
nell’umido che sale: – Che vuoi fare
è freddo è inverno è normale
inventare qualcuno da aspettare.
36.
Cosa tocco se non resti.
Pezzi portati a riva
dalle correnti.
68.
“Era Natale – o Carnevale, non so”.
Così iniziava il tuo canto.
Di esso non rimane più niente,
solo un ricordo, chiuso nel pianto.
E dove ti sei nascosto poi, amico caro,
amico fine, negli anni a venire,
in quale perizia psichiatrica
hai perso il pensiero leggendovi il nome
contorcendo il male nel volto
in quali gocce di antipsicotico
hai sciolto la tua bellezza, il tuo sentire.
Esiste una via sottile
parevi dire, una vita più fine,
fatta di niente, oltre le spine.
Non concediamo nulla,
non un millimetro, a questo mondo
non scendiamoci a patti.
C’è una linea, dentro, che non si può valicare.
Era Natale – o Carnevale
ora mi confondo.
L’AUTORE
Alessandro Ardigò (1982) è docente di Lingua e Letteratura italiana e dal 2017 è responsabile della rivista di humanities RadiciDigitali.eu. Per Eretica edizioni ha pubblicato Prosimetro Moderno (2020), finalista del premio internazionale Apollo Dionisiaco, Roma 2021.