Inediti di Eugenio Griffoni | L’Altrove
Fra poco non saranno più d’oro le vetrate.
Ormeggiata è la barca
che t’accolse le ossa nel buio delirante
– con reti del pescatore copristi lo spavento –
alghe maleodoranti
e carcasse di granchio nel groviglio.
Fra poco non saranno più d’oro le vetrate.
Guarda come cambia la marea:
non è che l’incubo di plasma e oblio
ad avvolgere le chiglie e ingoiare,
i gabbiani impazziti a capofitto
ad annegare, deformi nel trapasso
sprofondano inanimati ed ecco
non sono più d’oro le vetrate.
Sordo il suono che sconvolse il colore:
ai piedi d’immense vertigini
spalancammo la gola: isteriche sfumature
di nero e più nero fondevano
squame e boe molluschi vernici:
e il bollire della vita forse sentimmo,
nella fornace di conchiglia
fra i cocci di rotaia.
Cadde su di noi l’ombra smisurata
ci vedemmo negli occhi.
Da secoli solitario dorme il palazzo:
– E’ un memoriale – ripetevi
fondendo le pupille nell’oro riflesso
che moriva nelle tue febbri:
– Accendo una candela per il tempo che verrà,
per la notte le miserie e tutte le clessidre
che ora vengono capovolte.
Ignori forse tu l’ombra che fruga mascherata?
Ricordi le parole che ti dissi quella notte? –
E fu per compassione che tornai a pregare.
Pregammo molte parole
– alcune sconosciute, altre proibite –
e con poche stelle solitarie infine ti calmai.
Aspettammo a piedi nudi l’arrivo del miracolo.
Scalò il mondo repentino prorompendo nel cuore.
Ancora per una volta insieme lo vedemmo,
che fosse l’ultima o la prima,
tramutato sulle vetrate – del cielo –
l’oro di Dio.
Gigantesche, silenziose pale eoliche
spadroneggiano il nulla – la brughiera –
disseminati monarchi
su fosche necropoli di cardi e cemento.
Dove sono finiti tutti?
Ho spiato da dietro la persiana
le montagne tramontare, il lento
incedere di roccaforti
giù dal crinale,
fino al rosso più rosso al rogo
siderale: questa nostalgia
mi parla di te.
Tienimi la mano nel tempo che viene,
nel nero più nero che strozza le ore.
E passeranno ancora
mandrie di dune in sorda migrazione,
satelliti e comete come scaglie di Sole,
ma non passeremo noi amore
sotto l’arco dorato,
due Soli fuori orbita
nel cielo incrinato.
Sono dunque i nostri cuori
a turbare il mondo?
Così tanto ci promettemmo
prima di sparire.
Appoggiati si era sul muro della chiesa
e neanche pareva la notte, coi suoi leoni,
tanto era forte il biancore – della Luna
sul travertino. Ancora ti ricordo pallida e
lacerata, con mani fredde e poco tempo,
confusa nel paesaggio: c’era
il suono dei cantieri, di pochi gabbiani,
del buio del mare. Non ci volle molto
per dire tutto quello che andava detto.
Bastò azzerare le distanze
fra la tua mano e il mio petto, e morire.
L’AUTORE
Eugenio Giffoni è nato nel 1992 e vive a Falconara Marittima, Ancona.
Nel Dicembre 2020 ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo “Fuori dalla Tana”.
È attivo nel mondo del Poetry Slam italiano del circuito LIPS da 4 anni, membro attivo delle associazioni Nie Wiem ed Argo con la quale collabora. Ha partecipato a diversi festival.
Sue poesie sono apparse su alcuni siti letterari.