Poesie scelte di Antonella Anedda | L’Altrove
Le dita sulla tastiera del computer schioccano
– solo piú leggermente –
come un tempo la macchina per scrivere.
Era bello quel nome: macchina, ancora meglio
quando senza la c ritorna machina.
Impalcatura per un dio o un assedio,
ariete per abbattere le mura.
Rimandava a un arto di ferro, un ordigno
e un artiglio che ubbidiva al cervello.
Eppure non ha senso
rimpiangere il passato,
provare nostalgia per quello che
crediamo di essere stati.
Ogni sette anni si rinnovano le cellule:
adesso siamo chi non eravamo.
Anche vivendo – lo dimentichiamo –
restiamo in carica per poco.
Da Historiae, Einaudi
Tutto era bello quel mattino, privo di colore. Non fu mai più così né
prima né dopo.
Come il visibile scacci di colpo l’invisibile come
lo spettro del tuo viso lasci un alone sul mogano dei mobili.
Quanto, mio amore che amore non sei più resista
il luogo che ci accolse:
minareti con torri di ricordo, ghiaia
per dire come iniziò la storia, come si perse
come ora sia un’ombra attica, altissima, ferma sulla sua stele.
Da Il catalogo della gioia, Donzelli
Pensi davvero che basti non avere colpe per non essere puniti,
ma tu hai colpe.
L’aria è piena di grida. Sono attaccate ai muri,
basta sfregare leggermente.
Dai mattoni salgono respiri, brandelli di parole.
Ferri di cavalli morti circondano immagini di battaglie
Le trattengono prima che vadano in un futuro senza cornici.
Cosa ci rende tanto crudeli gli uni con gli altri?
Cosa rende alcuni più crudeli di altri?
Le crudeltà subite e poi inghiottite fino a formare una guaina
con aculei sul corpo ferito?
O semplicemente siamo predestinati al male,
e la vita è solo fatta di tregue dove sostiamo
per non odiare e non colpire?
Da Il balcone del corpo, Mondadori
Volevo che il mio amore non finisse
che resistesse intero – in disaccordo
perfino col ricordo e ignorasse il corpo
che da me si scostava
che ne ignorasse distanza e indifferenza
e fosse cosa mia doppiamente intrecciata
cesta di giunco e aria, cesta per acqua
forma che la mano conosce
e che la storia medita quando – così di rado
per questo raramente sacra – salva un bambino dal suo Nilo.
Così a volte fanno canestri i pazzi
per il silenzio – credo – che sale dagli spazi
per quella paglia
che le dita oscurano
per quel nodo terreno di aria e di materia.
Da Notti di pace occidentale, Donzelli
Per noi serbavo un tempo
ampio, invernale
l’ombra dell’abete stesa
col cibo sulla stufa.
I tre suoni dei vetri
sfere, aghi, candele.
Da Residenze invernali, Crocetti Editore
Chi se ne è andato non desidera tornare.
Pensiamo che si strugga per il mondo
prestandogli la nostra nostalgia.
L’oleandro trema, l’abete
che si sfrangia più latteo nella luna
e tutta la bellezza incomprensibile
che ci ostiniamo a raccontare.
Se i morti vedono ci guardano scrutare l’illusione di un muro
bussare per entrare o chiamare
come i pazzi che cullano le pietre
bisbigliando loro: amore.
Da Salva con nome, Mondadori
Foto di Dino Ignani.