Recensione: “La pazienza dell’inverno” di Alessandra Paganardi | L’Altrove
Inverno: Cimiteriale Viale Interiore.
Inverno, immortale viale cimiteriale simboleggiante il terreno Cammino verso le calorose braccia della madre-sorella Morte, come mostratoci dalla poetessa, scrittrice, saggista e insegnante milanese Alessandra Paganardi con La pazienza dell’inverno (Puntoacapo, 2013).
Viale invernale, il suo, in cui il terreno cammino mortale, è rappresentato come una filastrocca dalle foscoliane rimembranze, ovvero cimiteriali melodie sepolcrali mutanti cristalline voci poseidoniche in scheggiate, frantumate e graffiate urla temporalesche, che, a loro volta mutano vacue riminiscenze spiritualmente resettate, in quanto percorrenti strade dove intime sembianze e umane ombre, sono incarcerate in candide ragnatele. Strada, anzi strade sepolcrali queste, come magici deserti invernali non dalle lacrimanti e doloranti atmosfere, ma, oceanico e ultraterreno universo abitato da luci cosmico-ancestrali mutanti avvizzite, decrepite, paurose e uggiose lacrime spirituali, in accecanti soli oceanico-lunari. Invernali viali interiori che innanzi a marini sguardi mutano boreali nostalgie e opachi rimorsi in incolori fotografie ingiallite, a causa di claudicanti passi nomadi e decomposti sguardi brumosamente impauriti declamanti affilate parole intercostali durante ciechi temporali d’agosto, ovvero impauriti venti mutanti quotidiani affetti in asfissianti bruciori aerei, che, si mostrano come glaciali lapidi. Fredde tombe, queste, come madri partorienti bestemmianti figlie meretrici e sanguigni figli tumorali profumati come mandorle bruciate, ovvero creature declamanti vacui lessemi picchiati, infettati e canzonati da altrui esistenze inarrivabili. Creature destinati, anzi condannate, al fraterno-materno abbraccio della Morte, qui vista, come immenso mare popolato da sofferenti melodie ed enigmatici affetti, che, ci mostrano il terreno Cammino come una fresca, aulica, alchemica rosa e un divertente gioco animato da luminosi, accecanti, lussuriosi e avidi errori etico-sociali. Viale interiore, quello della poetessa milanese, che rimembra quello dell’opera Il viale d’inverno del poeta e traduttore anconetano Francesco Scarabicchi (1951-2021), poiché i loro viali come interiori universi abbracciati da scheletrici alberi, velenosi frutti e svigorite foglie conducenti all’eterno riposo cimiteriale. Viale, quello della poetessa milanese, che può essere letto con le stesse chiavi di lettura riguardanti l’interiore viale de poeta anconetano. Una prima chiave di lettura lo mostra, come un metafisico Getsemani in cui rivedere genitoriali ombre mortuarie, con lo spirito immensamente e oceanicamente profumato da balsamiche, candide e dolci riminiscenze nostalgicamente terrene. Una seconda chiave di lettura lo mostra, come un ponte, che ci conduce mano nella mano per magici mondi dove poter replicare fulminee, ardenti eroticità e osservare quiete notti impomatate con vacui profumi. Una terza chiave di lettura lo mostra, come l’ultimo universale ansimo materno, ovvero l’universale figura materna come una creatura popolata da vacue energie, una divinità dal magico canto elisiaco e un’eterna ombra onnipresente, nel cuore di figli poeti. Viali invernali infine, quelli della milanese e dell’anconetano, pari comparativamente parlando a “Inverno” tratta dall’album Concerto per Margherita del cantautore Riccardo Cocciante, ovvero sepolcrale universo dove rivivere intimi calorosi affetti purificanti notti mannare e infinita eucaristia per placare le avide eticità, ma in particolar modo cristallino spartito musicale conservante le nostre più commoventi, tristi e corvine melodie etiche. Sepolcrale universo, quello di Paganardi-Sarabicchi-Cocciante, come eterno ricordo accarezzato da tiranniche nevi imprigionanti sensuali emozioni per noi estranee, come mostratoci da “Cade la neve” tratta dall’album Adamo del cantautore Salvatore Adamo.
Alcune poesie da La pazienza dell’inverno (Puntoacapo, 2013):
Riviera
E ritornare là dove ogni cosa
infine si fa notte:
la voce di un concerto non finito
come neppure il vento più sa fare.
Qualcosa sembra arrendersi da sempre,
qualcosa ha rinunciato ad aspettare
come la spiaggia a novembre –
l’orologio che batte sul profumo
del primo pane, solo per sentire
che non è stata inutile la sera.
Altri occhi
Amante, non fermarti troppo a lungo
a guardare con gli occhi dell’amore.
Al solstizio l’inverno si è stancato
di freddo – quando l’ombra
è un tappeto persiano sull’asfalto
giù si smagliano scampoli ribelli
a gettare coriandoli di luce.
Segui la scena con gli occhi del tempo –
il gemello che ha sempre i nostri anni
il custode discreto della cella
che sa il prezzo e la pena
spinge i fiumi nel mare senza fretta
e un giorno infine ci aprirà la porta
per dire: adesso è l’ora.
A cura di Stefano Bardi.
L’AUTRICE
Alessandra Paganardi, poetessa, saggista e insegnante è nata a Milano nel 1963. Per la poesia ha pubblicato Potevamo dire l’assenza, Crimeni, Olgiate Comasco, 2005; Ospite che verrai, Joker, Novi Ligure, 2005 e 2007; Binario provvisorio, Circolo Culturale Seregn’ de la Memoria, Seregno, 2006; Vedute, Ibiskos Ulivieri, Empoli, 2008; Frontiere apparenti, Puntoacapo, Pasturana, 2009; La pazienza dell’inverno, Puntoacapo, Pasturana, 2013. È stata insignita di vari poemi come il “San Domenichino” per la poesia nel 2007, il “Guido Gozzano” per la narrativa sempre nel 2007, il “Merini” per gli aforismi nel 2013 e il premio “Europa in versi” per la poesia nel 2016. Suoi saggi sono presenti in varie riviste settoriali come “Poesia”, “Gradiva” e “La Mosca di Milano”.