Poesie scelte di Margaret Atwood | L’Altrove
Cuore
Alcuni vendono il proprio sangue. Tu ti vendi il cuore.
O quello o l’anima.
Il difficile sta nel tirare fuori quella maledetta cosa.
Una specie di movimento a spirale, come sgusciare un’ostrica,
la tua spina dorsale un polso
e poi, oplà! È nella tua bocca.
Quasi ti metti in subbuglio
simile a un’attinia che espelle un sasso.
C’è un rumore rotto, il chiasso
d’interiora di pesce in un secchio,
ed ecco, un enorme e brillante grumo rosso intenso
di un passato ancora vivo, tutto intero su un piatto d’argento.
Viene fatto passare. È scivoloso. Viene lasciato cadere,
ma anche assaporato. Troppo scadente, dice uno. Troppo salato.
Troppo aspro, dice un altro, con una smorfia.
Ognuno è un buongustaio istantaneo,
e tu ascolti tutto
in un angolo, come un cameriere appena assunto,
la tua mano, diffidente e capace nella ferita nascosta
sotto la camicia e nel petto,
con timidezza, senza cuore.
Da La porta (Le Lettere, 2011)
Come
Come dirti
che questo significa dolore,
questo piatto bianco, l’arancia sopra
al mattino; e il coltello d’argento,
il modo in cui stanno sulla tavola
come se appartenessero a questo posto,
così sicuri, dando tanto per scontato,
dimenticando di essere stati lasciato indietro;
decidono di appartenermi
e la polvere, la luce
le cose che io non riuscirò mai
a toccare, che mai mi toccheranno.
Da Poesie (Bulzoni, 1986)
Poesie tarde
Queste sono le poesie tarde.
Quasi tutte le poesie sono in ritardo,
ovvio: troppo tardi,
come una lettera spedita da un marinaio
che arriva dopo che è annegato.
Troppo tardi per essere di aiuto, certe lettere,
e le poesie tarde non sono diverse.
Arrivano come via mare.
Di qualsiasi cosa si tratti è già accaduta:
la battaglia, il giorno di sole felice, il chiaro di luna
che diventa voglia, il bacio d’addio. La poesia
si arena sulla riva come un detrito.
Oppure tardi e la cucina è chiusa:
tutte mangiate o fredde le parole.
Galeotto, sorte e disfatto,
o sospesi, attese e un poco,
pensoso, dolente, desolata.
Persino amore e gioia: vecchi canti pluri-masticati.
Sortilegi arrugginiti. Ritornelli consunti.
È tardi, è molto tardi;
troppo tardi per ballare.
Allora, canta quel che puoi.
Accendi la luce: canta ancora,
canta: Ora.
Da Moltissimo (Ponte alle Grazie, 2021)
È pericoloso leggere i giornali
Mentre costruivo accurati
castelli nel recintino di sabbia
le fosse scavate alla svelta si riempivano
di cadaveri spinti dai bulldozer
e mentre andavo a scuola
pettinata e linda, i miei piedi
sulle crepe dell’asfalto
detonavano bombe vermiglie.
Ora sono adulta
e alfabetizzata, e siedo sulla mia sedia
placida come un fuso
e si incendiano le giungle, il sotto-
bosco si fa pesante di soldati,
i nomi sulle mappe
complicate salgono in fumo.
Sono io la causa, sono una massa
di giocattoli chimici, il mio corpo
è un congegno mortale,
mi protendo con amore, le mie mani diventano pistole,
le mie buone intenzioni sono del tutto letali.
Persino i miei
occhi passivi trasmutano
tutto ciò che guardo in una foto
di guerra in bianco e nero
come
posso fermarmi?
È pericoloso leggere i giornali.
Ogni volta che batto un tasto
su questa macchina elettrica
per parlare di un placido albero
esplode un altro villaggio.
Da Brevi scene di lupi (Ponte alle Grazie, 2020)
Questa è una mia fotografia
È stata scattata qualche tempo fa.
A prima vista sembra
una copia
sciupata: contorni sfocati e chiazze grigie
fuse nella carta:
poi se la esamini,
vedi nell’angolo a sinistra
qualcosa come un ramo: parte di un albero
(balsamina o abete) che affiora
e a destra, a metà di
quello che appare un dolce
declivio, una piccola casa di legno.
Sullo sfondo vi è un lago,
e oltre questo, basse colline.
(la foto è stata scattata
il giorno dopo che annegai.
Io sono nel lago, al centro
dell’immagine, appena sotto la superficie.
È difficile dire dove
con precisione, o dire
quanto grande o piccola io sia:
l’effetto dell’acqua
sulla luce inganna
ma se guardi abbastanza a lungo,
alla fine riuscirai a vedermi).
Da Brevi scene di lupi (Ponte alle Grazie, 2020)
Moltissimo
È na parola antica, che va sbiadendo.
Moltissimo volli.
Moltissimo pregai.
Io lo amai moltissimo.
Mi faccio strada camminando
con attenzione, per via delle ginocchia malandate
di cui mi frega assai meno
di quanto possiate immaginare
visto che esistono altre cose un pelino più importanti
(aspetta e vedrai).
Ho in mano un mezzo caffè
in una tazza di carta con
– me ne rammarico moltissimo –
un coperchio di plastica,
cerco di ricordare cos’erano quelle parole un tempo.
Moltissimo.
Com’era usata?
Moltissimo amati.
Moltissimo amati, siamo riuniti.
Moltissimo amati, siamo oggi qui riuniti
in questo album di foto dimenticate
che ho ritrovato di recente.
Sbiadite ormai,
color seppia, in bianco e nero, stampate a colori,
ognuno di noi così tanto più giovane.
Le Polaroid.
Cos’è una Polaroid? Chiede il neonato.
Neonato da un decennio.
Come spiegarlo?
Tu scatti e la foto esce dalla parte rialzata.
Alzata sopra cosa?
Con quello sguardo perplesso che vedo di continuo.
Così difficile da descrivere
i dettagli più minuti di come
– tutti questi moltissimo amati qui riuniti –
di come vivevamo un tempo.
Si incartava l’immondizia con la carta
del quotidiano legata con un filo.
Cos’è un quotidiano?
Voi capite cosa intendo.
Il filo però, di filo ne abbiamo ancora.
Lega le cose insieme.
Un filo di perle.
Ecco cosa ti dicono.
Come tenere traccia dei giorni?
Ognuno splendido, ognuno separato,
ognuno unico e finito.
Li ho tenuti sulla carta in un cassetto,
quei giorni, adesso svaniti.
Le perle possono essere usate per contare.
Come nei rosari.
Ma non mi piace avere pietre intorno al collo.
Lungo questa strada ci sono molti fiori,
sbiaditi adesso ché è agosto,
polverosi e diretti verso l’autunno.
Presto i crisantemi fioriranno,
i fiori dei morti, in Francia.
Non pensare che questo sia morboso.
Sono le cose come stanno.
Così difficile descrivere i dettagli più minuti dei fiori.
Ecco gli stami, niente a che fare con gli umani.
Ecco i pistilli, niente a che fare con le pistole.
Sono i dettagli più minuti a ostacolare i traduttori
e anche me, quando provo a descrivere.
Capite cosa intendo dire.
Tu puoi deviare. Tu puoi perderti.
Lo stesso accade alle parole.
Moltissimo amate, riunite qui insieme
in questo cassetto chiuso,
ormai sbiadite, mi mancate.
Mi manca chi è mancato, chi è partito troppo presto.
Mi mancano anche quelli che sono ancora qui.
Mi mancate tutti moltissimo.
Moltissimo rimpianto ho di voi.
Rimpianto: ecco un’altra parola
che non senti più tanto spesso.
Io rimpiango moltissimo.
Da Moltissimo (Ponte alle Grazie, 2021)
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