Una poesia di Raffaello Giovagnoli nell’anniversario della battaglia di Mentana | L’Altrove
Nello scenario delle guerre risorgimentali, quando non erano ancora stati annessi i territori della Venezia-Giulia, del Trentino e di quelli sotto il dominio del papato, lo scrittore Raffaello Giovagnoli lasciò l’esercito regolare per seguire Giuseppe Garibaldi nella Campagna dell’Agro romano (1867), iniziativa militare volta alla conquista di Roma. Il 3 novembre ebbe luogo la battaglia di Mentana, che vide contrapposti i volontari guidati da Garibaldi alle truppe franco-pontificie, con queste ultime che prevalsero mettendo contemporaneamente fine alla Campagna dell’Agro romano e all’avventura garibaldina. Raffaello Giovagnoli avrebbe cercato di tener vivo il ricordo di quelle imprese per tutta la vita, e l’ode qui proposta, contenuta nella raccolta Peccata juventutis meae (Tipografia F.lli Centenari, Roma, 1883), è il resoconto in chiave poetica di quello scontro.
MENTANA
(nel III anniversario, 3 novembre 1870)
Il cielo è di piombo, sull’arsa campagna
gialliccia, silente, che il Tevere bagna,
procede una muta falange di militi:
rilucono l’armi pel brullo sentier.
Son giovani ardenti, son fieri, son baldi,
devoti a un eroe: egli è Garibaldi
che, verso le mura contese di Servio
a pugne immortali conduce i guerrier.
Son meste del grande le azzurre divine
pupille, che fisan le sette colline
sorgenti lontano, su fondo di nuvole,
e paion coperte di un manto feral.
Un colpo di schioppo… poi dieci… poi cento
risuonano intorno… – su, in armi!… al cimento!…
fra gl’Itali un grido trascorre qual fremito:
s’appicca la mischia con impeto ugual.
Si grida, si spara, si accorre, si incalza…
di balza gli assalti s’addoppiano in balza…
già tuona il cannone, d’odiosa tirannide
suprema ragione, ministro fedel.
Già il fumo ravvolge le mobili schiere…
rosseggian le zolle… già stende le nere
sue coltri la Morte, pei campi sanguinei,
sul volto ai caduti, pallenti, di gel.
Da un lato d’Italia la viva speranza,
di patria l’amore, la fiera costanza
di oppressi anelanti la vita de’ liberi,
a vincer decisi, decisi a morir:
dall’altro le fole di vecchie imposture,
le voglie smodate, le turpi sozzure
di Apostoli falsi, sostegni d’Oracoli
che impongon l’inerzia, la prece, il servir
là splende smagliante la luce del vero,
di fosca menzogna qui serpe il mistero:
qui l’armi, la forza, la salda compagine,
là fede, coraggio, là brama d’onor.
Già, rotte le file, del papa i zuavi,
gettando i fucili, fuggendo da ignavi,
rivolgon le terga, dileguansi rapidi
dall’Italo oppressi stupendo valor.
Finita è la pugna, sul Duce nizzardo
sorrise vittoria… ma un nuovo stendardo
falangi possenti di Franchi cattolici
sul campo la zuffa conduce a avvivar.
Rïarde più fiera la spenta battaglia…
si triplica il rombo dell’aspra mitraglia…
di fiamme, di palle con cerchio infallibile
i figli d’Italia può il Franco serrar.
Il cozzo dell’armi, le grida, i clamori
dell’impari lotta raddoppian gli orrori:
bestemmie e preghiere si fondon coi gemiti…
l’impulso dell’ira più tregua non dà.
È strage dovunque, incendio, ruina…
combatton gl’insorti, con rabbia felina,
nel solo fidenti rifugio del misero,
che più di salvezza speranza non ha.
E i Franchi, provando sugl’Itali petti
la forza miranda de’ loro moschetti,
raccolgon gli allori che un dì alle Termopili
il molle Persiano vilmente acquisiò.
Discese la sera: sull’arsa campagna…
nel fondo, ove il Tebro fangoso la bagna,
fra l’alto silenzio, di Roma le cupole
la luce di cento fanali animò.
Là, in porpore e in oro ravvolto, un vegliardo,
pastore feroce, profeta bugiardo,
sui proprii fratelli, lanciando scomuniche,
invoca la strage dal Dio d’Israel.
Di santa sconfitta, di infame vittoria
notata Mentana verrà nella storia:
coi Franchi vincenti stan Santi ed Arcangeli,
coi vinti Catone, sdegnoso del ciel.
A cura di Luca Gilioli.
L’AUTORE
Raffaello Giovagnoli (Roma, 1838 – Roma, 1915), fu soldato nelle guerre risorgimentali, scrittore, docente e deputato del Regno d’Italia. Autore estremamente prolifico, nel corso della sua vita si espresse mirabilmente in tutti i generi letterari, e nei suoi ultimi anni fu addirittura sceneggiatore per il cinema. Insigne patriota, sempre si batté per difendere e diffondere ideali etico-libertari, gli stessi ideali che permeano la sua opera di maggior successo, il romanzo Spartaco – Racconto storico del secolo VII dell’era romana (1874), che in Unione Sovietica, all’epoca, raggiunse una diffusione in più di un milione di copie.