Le più belle poesie di Clemente Rebora | L’Altrove
Dimmi che esisti – non chiedo altro:
il resto al cuore io lo domando.
Sete ingannata da ogni coppa,
senza il sapor della tua bocca,
riposo illuso in ogni sonno
senza il ristoro del tuo corpo.
Dimmelo sempre che ci sei,
comunque la tua vita speri.
La creatura in te più vera
ogni vicenda me la svela,
la lontananza ansiosa dice
l’amor che accanto ammutolisce;
Ma so, non so, so che tu sola
puoi dirmi: esisto – e dillo ancora.
Leggiadro vien nell’onda della sera un solitario palpito di stella. A poco a poco una nube leggera le chiude sorridendo la pupilla;
e mentre passa con veli e con piume, nel grande azzurro tremule faville nascono a sciami, nascono a ghirlande, son nate in cento, son nate in mille:
ma più io non ti vedo, stella mia.
Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno.
Ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto.
Verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.
O poesia, nel lucido verso
che l’ansietà di primavera esalta
che la vittoria dell’estate assalta
che speranze nell’occhio del cielo divampa
che tripudi sul cuor della terra conflagra,
o poesia, nel livido verso
che sguazza fanghiglia d’autunno
che spezza ghiaccioli d’inverno
che schizza veleno nell’occhio del cielo
che strizza ferite sul cuor della terra,
o poesia nel verso inviolabile
tu stringi le forme che dentro
malvive svanivan nel labile
gesto vigliacco, nell’aria
senza respiro, nel varco
indefinito e deserto
del sogno disperso,
nell’orgia senza piacere
dell’ebbra fantasia;
e mentre ti levi a tacere
sulla cagnara di chi legge e scrive
sulla malizia di chi soffre e accieca,
tu sei cagnara e malizia e tristezza,
ma sei la fanfara
che ritma il cammino,
ma sei la letizia
che incuora il vicino,
ma sei la certezza
del grande destino,
o poesia di sterco e di fiori,
terror della vita, presenza di Dio,
o morta e rinata
cittadina del mondo catenata
Qualunque cosa tu dica o faccia
c’è un grido dentro:
non è per questo, non è per questo!
E così tutto rimanda
a una segreta domanda…
Nell’imminenza di Dio
la vita fa man bassa
sulle riserve caduche,
mentre ciascuno si afferra
a un suo bene che gli grida: addio!