Estratto da “Volevamo salvarci” di Petr Hruška | L’Altrove
La poesia di Hruška si muove su due spazi: la dimensione domestica, a cui l’io lirico è intimamente ancorato e dove si svolgono i piccoli e grandi conflitti famigliari, e il mondo esterno, dove l’attenta osservazione della realtà confluisce in una riflessione sull’uomo da una prospettiva più universale. Che sia collocato tra le mura casalinghe o tra le vie di una città, l’intreccio poetico manifesta sempre un profondo legame con il reale: la ruvida materia degli oggetti raffigurati e l’estrema corporeità dei dettagli, nominati a tratti con spudorata precisione, sono infatti i segni di una poesia che non abbandona mai il terreno del quotidiano, ma che di esso anzi si nutre, rimanendovi saldamente ancorata – abbarbicata, verrebbe da dire – anche là dove il discorso miri a una dimensione più astratta. Il lettore si imbatte così in foto plastificate, biglietti con parolacce, rondelle di carota, segnali stradali e altri dettagli minimi di ogni giorno.
Tuttavia sarebbe errato ricondurre questo modo di fare poesia entro la definizione di un realismo meramente descrittivo e impersonale. Al contrario, sono proprio i dettagli, in quanto luogo di collisione tra l’individuo e l’eterogeneità del mondo, a divenire portatori dell’espressività e della narratività che contraddistinguono i testi di Hruška.
Dalla prefazione di Elisa Bin, la traduttrice.
Vedrai
Voltati
guarda dove hai dormito ieri
e vedrai la provvisorietà più assoluta
la carcassa sottile della coperta
la stropicciata postazione di lavoro
l’acqua sinistramente vecchia nella tazza
vedrai i tuoi sforzi
di essere
e di sopravvivere
e il sogno che tutt’a un tratto
ti ha strattonato
e il deserto che nel frattempo si è allargato
in tutte le direzioni
dal tuo accampamento
e te stesso che ti sei tirato su
e ti sei posto di nuovo
contro la terribile velocità della luce.
Il giorno dopo
Ti chini sul cappotto per terra
e cerchi
di far uscire le maniche
da quel groviglio convulso che c’è dentro
di rinfilare e richiudere le tasche
sbatterlo
resuscitarlo
Dev’essere stato ieri
che hai perquisito te stesso
per poi perdere quasi del tutto le braccia
dev’essere stato ieri
che hai tentato un bilancio provvisorio
Oggi è il secondo giorno
il giorno in cui il Signore ha creato la volta celeste
quante volte hai già vissuto
il secondo giorno
Tira su quel cappotto cadavere e appendilo
oppure mettitelo addosso
ed esci
nell’aria gelata fiammeggiano i profili
di quegli altri.
Di nuovo noi due
Ci siamo fatti strada tra le foglie
bagnate del pomeriggio.
Fottuta radura.
Dovrebbe esserci di più qui,
dopo così tanti anni.
Dovrebbe esserci qualche segno,
un contorno,
o una direzione.
No.
Noi due,
bagnati dalle foglie del pomeriggio.
Giardino
il giardino è andato in malora
la pioggia è obliqua
come i sostegni dei fagioli
la pioggia è obliqua
come le lettere sul biglietto
con scritta l’ora del tuo arrivo.
Derubata
Sei arrivata derubata.
Prima che risuoni l’attesa frase
Quegli stronzi mi hanno preso tutto
ho fatto in tempo a notare
che le tue spalle
non sono riuscite per nulla ad invecchiare
neppure con il mio impegno pluriennale.
Tuttora si sollevano
in una curva muta
senza un’altra missione
poiché nulla mai accompagna il miracolo.
L’AUTORE
Petr Hruška nasce a Ostrava, nel nord della Moravia, nell’allora Cecoslovacchia, nel 1964, e qui vive.
La sua ormai lunga e importante carriera poetica, che ne fa uno dei nomi più rappresentativi della poesia ceca contemporanea e uno dei più popolari, conta più di dieci raccolte, a tratti tradotte già in italiano (Le macchine entrano nelle navi, Valigie rosse 2014).
Hruška è noto anche come critico, per le sue recensioni e per i saggi letterari, e per una ricca attività su rivista. Talvolta partecipa anche programmi culturali radiofonici e televisivi.