Le poesie più belle di Alfonso Gatto | L’Altrove
A mio padre
Se mi tornassi questa sera accanto
lungo la via dove scende l’ombra
azzurra già che sembra primavera,
per dirti quanto è buio il mondo e come
ai nostri sogni in libertà s’accenda
di speranze di poveri di cielo,
io troverei un pianto da bambino
e gli occhi aperti di sorriso, neri
neri come le rondini del mare.
Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo col tuo cuore è un sogno.
Ora alla terra è un’ombra la memoria
della tua voce che diceva ai figli:
“Com’è bella la notte e com’è buona
ad amarci così con l’aria in piena
fin dentro al sonno”. Tu vedevi il mondo
nel plenilunio sporgere a quel cielo,
gli uomini incamminati verso l’alba.
L’erba
L’erba, il silenzio, il muovere dell’ombra
Soli, nel pianto tuo della mattina,
l’erba, il silenzio, il muovere dell’ombra
e gli steli del vento. Il tuo sollievo
è di vederti calma nell’attesa
ch’io giunga da lontano, il tuo riposo
è la speranza d’incontrarci a sera
per caso in un inverno.
Lasciarti per sparire,
per essere il tuo cielo dove guardi
senza rimorsi, avere il tuo rimpianto,
la tua memoria, le tue mani vuote…
Forse è più dolce piangermi che avermi.
La veglia
Piove su questa casa bianca, è sera.
Lo squallore murario, nei balconi
verdi, nei raspi delle sorbe, annera.
I pavesi del lutto sui portoni
si vestono d’argento con quel lume
di cielo che rimane in alto, fioco.
Una sera di calma tra le brume
dolci del golfo, svèntola sul fuoco
del braciere una donna a sé traendo
il bambino assonnato che le pesa
sull’altro braccio. In quel che vedo intendo
spiegata tenerezza, la distesa
del mare nel suo cerulo sconfina.
Io ti parlo così con questa calma
che non è mia, è sempre più vicina
l’ora di tutti, vedo sulla palma
del lungomare la stanchezza occidua
della luce, la raffica silente.
Di controvoglia questa mano insinua
la carezza obliosa. Non è niente,
credimi, quest’effigie, questo fumo
continuo, non è niente. Negli assorti
pensieri della veglia mi consumo
per avvenenza come tutti i morti.
Le grandi notti d’estate
Le grandi notti d’estate
che nulla muove oltre il chiaro
filtro dei baci, il tuo volto
un sogno nelle mie mani.
Lontana come i tuoi occhi
tu sei venuta dal mare,
dal vento che pare l’anima.
E baci perdutamente
sino a che l’arida bocca
come la notte è dischiusa
portata via dal suo soffio.
Tu vivi allora, tu vivi,
il sogno ch’esisti è vero.
Da quanto t’ho cercata.
Ti stringo per dirti che i sogni
son belli come il tuo volto,
lontani come i tuoi ochhi.
E il bacio che cerco è l’anima.
Inverno a Roma
I bambini che pensano negli occhi
hanno l’inverno, il lungo inverno. Soli
s’appoggiano ai ginocchi per vedere
dentro lo sguardo illuminarsi il sole.
Di la’ da se’, nel cielo, le bambine
ai fili luminosi della pioggia
si toccano i capelli, vanno sole
ridendo con le labbra screpolate.
Son passate nei secoli parole
d’amore e di pietà, ma le bambine
stringendo lo scialletto vanno sole
sole nel cielo e nella pioggia. Il tetto
gocciola sugli uccelli della gronda.