Recensione: “Infinito collaterale” di Sharon Laporta | L’Altrove
Libro capace di compiere clamorose stragi interiori, manda in pezzi la poesia così per come la conosciamo.
Così leggiamo nell’introduzione a Infinito collaterale di Sharon Laporta (Porto Seguro Editore, 2020).
Ed è proprio così, dimentichiamo il peso lirico della poesia e così la sua forma imponetemente statica e antiquata, Sharon ci sorprende con questa raccolta scoppiettante.
Il titolo riporta alla mente una delle poesie più famose, L’Infinito, a cui viene accostato un aggettivo tutt’altro che leopardiano, cioè collaterale, un termine che ci fa pensare a quell’effetto non previsto e non desiderato.
E la poesia della Laporta è inaspettata, un gioco pirotecnico curioso e sorprendente.
Emerge il gusto per le rime e i giochi di parole, Sharon pesca dal quotidiano, da vicende così semplici, con una ricercata e spiccata osservazione del mondo, dei suoi contorni.
io amo:
le trofie al sugo di noci,
i fuochi fatui,
le bidelle con il sorriso sulle nocche.
i nonni vigili all’uscita della scuola,
le trappole scoperte, prima che diventassero tali,
le tue pupille effervescenti.
i murales istintivi,
ogni forma propedeutica al precipizio sano.
le previsioni del tempo perduto,
la baraonda del primo maggio in urto,
strozzarmi con la bagna cauda,
le timide memorie degli itinerari inconsci.
i gesti sconci.
i discorsi preventivi sull’amore viscerale.
il piacere del risveglio all’ospedale.
io amo tutto ciò che non è di mia competenza.
tutto ciò che non è addomesticato.
amo ciò che sa di whisky, curry e peccato.
Porre questa certa leggerezza nelle descrizioni, nella narrazione non significa superficialità, anzi. C’è in questo versificare una grande consapevolezza, specialmente dei tempi odierni, del come si vivono e delle relazioni che si intessono.
innamorarsi oggi
è una campagna pubblicitaria,
sugli incidenti stradali,
in televisione.
guidi in stato di ebbrezza.
muori schiantato sulla tangenziale,
dopo aver ballato in discoteca,
sulle note,
di qualche pezzo demenziale.
così è l’amore di chi non prende precauzioni.
l’epilogo di chi sotterra imprecazioni.
che se ti tolgo la vita per un atto di pirlaggine
ho il dovere di morire anche io.
a braccetto con la ruggine.
sono un inverno profondo soft.
non mi ami la domenica.
solo durante la settimana
e nei festivi. con orario ridotto.
come l’Inps in estate.
è così che mi vuoi.
nei momenti vuoti dei tuoi respiri.
quando non c’è nulla che ti dia
l’esultanza di una carta d’imbarco.
sono un inverno profondo soft.
non mi ami la domenica.
Con un’ironia dissacrante la poetessa vuole prendere in giro, rivelarci verità con crudeltà e schiettezza, ma con quel velo di scherzo che la contraddistingue; e questo suo accento sincero ed onesto spiazza, la straordinaria lucidità dell’autrice disorienta. Emerge allora un poetare fatto da sguardi acuti, da parole coltivate e scelte senza casualità, insostituibili. Leggendole ci si trattiene a stento dal sorridere, è vero, ma dopo il sorriso ci si ferma e si riflette. Come in questi versi:
come certi film sul nazismo,
che vedi correre ebrei nudi
nei campi di concentramento,
al gelo, con la testa rapata.
che la realtà era peggio
di quella riproposta.
non possiamo concepire
l’odore di morte
che aleggiava in quelle storie.
non immaginiamo neppure
cosa significhi
contorcersi nell’angoscia.
questa storia è come certi film sul nazismo.
serve a raccontare,
ma nessuno potrà mai capire
cosa si prova
ad essere la reale condizione
di un rapporto
che non ha respiro.
morto prima ancora
di vedere la luce.
Poi, le assonanze, le metafore ed ogni figura retorica usata, rendono il percorso della lettura ammiccante, travolgente. Ad un certo punto si ha la sensazione di essere su una giostra, su un ottovolante dal quale non si vorrebbe mai scendere. La poesia di Sharon ci prende nel suo turbinio emozionante, paranormale, scuote, crea smarrimenti momentanei nelle salite e discese, nelle sue curve paraboliche.
se mi chiedi cos’è una poesia?
ti rispondo: pura magia.
non sono una poetessa coi fiocchi
solo una scema
sperduta
quattrocchi
che vorrei imparare a leggere i tarocchi,
scoprire le carte in tavola, senza che ti scocci.
se la poesia ti immortala l’anima?
certo, toglie pidocchi senza bisogno
di shampoo feroci.
all’occorrenza parla di cose atroci.
è caramella
quella finta per la tosse
non si corrode con l’acqua di mare,
né con l’eggregora del male.
ama i posti caldi
le frittelle del luna park,
i barattoli del sugo,
come una pomata infatuata
rimane vicino a te,
se stimata.
si ciucca di gente maledetta
che incrocia le braccia
davanti a un amore che aspetta.
se la tratti di merda meriti una morte orrenda
(a meno che tu non faccia ammenda)
se mi chiedi cos’è una poesia?
ti rispondo: pura bugia.
ma me ne frego.
la vita è
ficcante allegoria.
È il caso di dire che tra le pagine di Infinito collaterale si sta proprio bene.
L’AUTRICE
Sharon Laporta, classe 1993, vive a Milano dove lavora nel mondo della comunicazione e del design come visual designer.
Ha vinto alcuni concorsi letterari (Premio Lupo 2012 – Anche cappuccetto rosso ha una fame da lupi) e ha pubblicato racconti e poesie in diverse antologie per la casa editrice Historica (Matrimonio last-minute, Il giorno in cui sono diventata pazza, Senza nome).