Poesie ritrovate: Bartolo Cattafi | L’Altrove
Nel panorama della poesia italiana del Novecento, la figura di Bartolo Cattafi si posiziona in un modo del tutto diverso e innaturale.
Cattafi nacque a Barcellona Pozzo di Gotto il 6 luglio 1922, si laureò in giurisprudenza a Messina e iniziò a lavorare come pubblicitario.
Partecipò al secondo conflitto mondiale e in quel periodo iniziò a scrivere poesie, «a enumerare le cose amate, a compitare in versi un ingenuo inventario del mondo».
Nel 1951 pubblicò la prima raccolta, Nel centro della mano.
Del ’55 è Partenza da Greenwich, libro nato dalle sue esperienze nomade in Europa e in Africa. Nel 1964 con L’osso, l’anima, ottenne il premio Chianciano.
Morì a Milano nel 1979 a seguito di una grave malattia.
Nel 1990 nella collana Lo Specchio Mondadori uscì un’antologia curata da Vincenzo Leotta e Giovanni Raboni. Più recente è il lavoro della casa editrice Le Lettere di Firenze che nel 2019 ha raccolto l’intera opera di Bartolo Cattafi nel volume Tutte le poesie a cura di Diego Bertelli.
Bartolo Cattafi, quindi, pur iniziando a scrivere negli anni quaranta, non proseguì la scia tracciata dai poeti ermetici, bensì si pose in un modo isolato nel suo far poesia.
I suoi versi, che potrebbero sembrare regolari e uniformi, conservano in realtà particolari suggestivi e pungenti.
È una poesia fulminea e graffiante, la sua. Che incide la superficie dell’animo umano, per farsi riconoscere e ricordare. In questo suo poetare, Cattafi si muove analizzando la realtà, riproducendola con le tantissime metafore usate e con un alfabeto animale e di oggetti, quotidiani e astratti, che costruiscono questo suo paesaggio poetico.
È una poesia che si è evoluta negli anni, ma che non vuole essere sperimentale o che mira ad esserlo. Anzi, vi troviamo una certa ripetitività di tematiche e di quella “oggettività” che fa da padrone nel mondo cattafiano. Un mondo che definiremmo anche epigrammatico e figurativo. Il poeta sembra, specialmente nelle prime raccolte, alla ricerca di una sua identità, stimolo che lo porta a viaggiare. Un viaggio che porta a radici e smarrimenti, a riconquiste e perdite. Dal viaggio si snoda l’evoluzione espressiva, linguistica e culturale di Cattafi, quella maturità che da Partenze da Greenwich, finisce per inoltrarsi nelle successive raccolte, nella lenta e implacabile conoscenza e narrazione della realtà e della vita, del visibile e dell’invisibile, nell’espressione del concetto a metafore o in una dettagliata pronuncia.
Poesie che sono il risultato di viaggi, quindi, intervallate da silenzi più o meno lunghi. Tra la pubblicazione di libro e un altro passano anche otto anni; è il caso di L’aria secca del fuoco.
Ma è un silenzio dal quale scaturiscono, poi, con forza improvvisa, testi potenti, che stavano silenti, conservati, in attesa, pur conservando la loro matrice epigrammatica e quasi proverbiale, la loro espressione secca, pungente.
La facilità nel fruire di questa poesia non è da considerarsi semplicità, come si evince, bensì un rimanere consolidato in quella parola comunicante e controllata, per scelta.
È impensabile, per quanto sia vero purtroppo, che una poesia come quella di Cattafi rimanga inascoltata e trascurata.
Poesie di Bartolo Cattafi
Relitto
Ti vedo sulla spiaggia nella parte
di chi non è più sughero né tavola
ma elemento leggero d’un altro paesaggio
parola illimitata
senza più segno e nesso
connotato catena tatuaggio.
Come vanno le cose
Ti spiattello in faccia
come vanno le cose:
vanno male.
Benché abbia perso lo spirito e la lettera
della fede in quella
sfera che tu conosci,
sono ancora inquieto.
Non mi tornano i conti, le misure, il modo
che ha il mondo di girare.
Ti faccio l’esempio dei consunti
oggetti: i caldi cogniti
compagni delle nostre stanze
con qualcuno congiurano a mio danno,
mutano volto,
stranieri appena giunti a questa soglia,
allusivi e furbi,
ammiccanti con strane
luci negli occhi,
missive minacciose nelle mani.
E la foglia caduta
che un giorno colsi col piede e feci mia
s’è staccata,
mi svolazza intorno mi rinfaccia
un corpo pesante
il passo del mio piede.
Il resto manca
Mancavano pagine
il marmo dell’epigrafe
era scheggiato
due sole parole
cetera desunt
il resto mancante
mancanti la testa e i piedi
e tutto il resto mancante
che testa e piedi divide
cetera desunt… cetera desunt…
parole sul frontone d’un tempio vuoto
vorticanti col vento come per dirci
solo noi ci siamo
tutto il resto manca
era questo che non sapevate.
Gesto
Non è vero che non successe nulla
quando tirasti fuori la mano dalla tasca
e a braccio teso tagliasti l’aria
da sinistra a destra
dall’alto verso il basso
successe che a braccio teso
tagliasti l’aria
e ciò ebbe il suoi peso
l’aria non è più come prima
è tagliata.
A noi due
Come di colpo s’è ristretto il mondo
che sapore salato di metallo
stretto in bocca
e guardi il sole
a che punto del giro
da che parte
vorrai averlo alle spalle
tenterai
di tenermelo negli occhi
dove la prima botta
spazio alle spalle per saltate indietro
veniamo al dunque
a noi due
a bordo non è rimasto più nessuno
qui comincia e finisce il nostro mondo:
i nostri corpi
i noti sentimenti
le armi in dotazione
primo sangue secondo terzo quarto
i mille modi di mettere assieme
carne metallo anima unghie denti.