Estratto da “Il tempo perso in aeroporto” di Lorenzo Foltran | L’Altrove
Le poesie di questo libro indagano lo spazio che va dal tempo perso al conto alla rovescia, raccontando le lacune dei calendari che lo misurano. Si percepisce una inafferrabilità che, al termine del viaggio, si rivela soprattutto come assenza, briciole e polvere di ciò che non è più. Ogni migrante, e Lorenzo Foltran è un migrante, scivola nello spazio sublime che va dal “non più” al “non ancora”, vasto territorio propizio alla reinvenzione dell’oblio dove si consumano il passato e il presente e dove al futuro non restano che sogni o giochi. L’aeroporto ne è una cornice emblematica, luogo che quasi cessa di essere terra senza ancora però poter essere aria.
Dalla prefazione di Jean Portante.
Le briciole, la polvere, i capelli
sotto i divani, agli angoli si ammucchiano,
memento mori della consuetudine,
di giorni senza calendari appesi
e condannati, per soffocamento,
a morte tutte le ventiquattro ore.
Siamo io e te in questo conto alla rovescia
come principi dell’equivalenza
alle variabili delle funzioni.
Nel susseguirsi delle cifre a schermo
riportiamo le nostre differenze,
moltiplichiamo rimanendo due.
Risolviamo le nostre sottrazioni
per arrivare insieme al giorno zero.
Dovresti esercitarti alla misura,
trovare l’equilibrio,
allontanarla e tenerla vicina,
essere un’ape accorta,
prudente, preso il fiore farne miele
col poco che rimane.
Ma preferisco la cupa falena
che s’accieca, si brucia
in vibrante silenzio si tortura,
sbatte contro la luce,
si contorce, si rialza, perde le ali,
si ferisce e continua.
Guarda la sua ombra, vedrai la tua vita,
mi ripeto ogni notte.
La vita vera s’aggira nel sogno
e gli occhi tremano mentre si chiudono.
Così lo sguardo cerca di fissare
quelle costellazioni di sospiri
che figurano, infuocano la notte
con miti falsi d’altre traduzioni.
Invano cerco di abituarmi all’ombra.
Le stelle fisse dei ricordi sempre
scintillano, altre appena si intravedono,
destinate a cadere nel silenzio.
Scie di dolore, cadono, si spengono
come le lacrime alle prime luci.
Scelgo il riverbero dello scenario,
premo il pulsante e mi lascio dormire.
La sera stessa quello che c’è dentro
risale come vomito.
Cerco sul fondo ma nulla ritrovo
(né viste né visioni)
di ciò che è andato perso
negli acidi del tempo.
Lavori palliativi
confondono il dolore
di vivere morendo.
Adesso
Un conato, un rigetto mentre il corpo
si sforza a sopportare lo strano essere
in altro tempo, come se il passato
gli fosse appartenuto per un solo
momento, pochi istanti in altro luogo.
Il presente me l’hanno trapiantato.
Il corpo, questo corpo: sono un altro.
A morsi strappo la carne dal braccio.
L’AUTORE
Lorenzo Foltran è nato a Roma e vive in Francia. Dopo gli studi in italianistica a Roma Tre, si è specializzato in management dei beni e delle attività culturali con un master tra l’Università Ca’ Foscari di Venezia e l’École Supérieure de Commerce de Paris. Ha lavorato per la Casa delle Letterature (Festival delle Letterature) e l’Institut français (Festival della narrativa francese) a Roma, e la Fête de la Gastronomie e il Pavillon de l’Eau a Parigi. Ha pubblicato In tasca la paura di volare (Oèdipus edizioni, 2018) e sue poesie sono comparse su varie riviste letterarie e sul quotidiano La Repubblica.