La poesia maledetta salentina: Marco Vetrugno | L’Altrove
Girolamo Comi, Vittorio Pagano, Antonio Leonardo Verri, Salvatore Toma e Claudia Ruggeri. Poeti maledetti salentini la cui poesia, è portata avanti dall’erede poetico Marco Vetrugno che nel 2017 pubblica Mùtilo – Un monologo per il teatro.
Monologo poetico, in cui nel personaggio di Mùtilo possiamo rintracciare il ferrettiano demone Deoso perché creatura blasfema e ripugnante attraverso una dolorosa Via Crucis composta di cinque Stazioni, è alla ricerca della rinascita e purezza spirituale. Stazione, la prima, in cui il lacerante dolore carnale di Mùtilo partorisce febbrili tunnel mentali conducenti alla follia psico-spirituale e soffocanti in impauriti sguardi gestualmente ebbri, ma in particolar modo vomitanti infettate esistenze verginee sulle proprie e altrui membra. Ferite queste mutanti il suo corpo in un inconsistente, smembrato, drogato e brumoso camposanto, ma in particolar modo in spirito sottomesso a un crudele, ferente, demoniaco e vampiresco fantasma falsamente benevolo verso di esso perché avido spirito dell’oltretomba dalle reminiscenziali fisicità intimo-affettive costringenti Mùtilo a colmare il vacuo limbo esistenziale con carni immolate sulla Croce e con scheggiate, purpuree, cristalline e verginee membra condannate eternamente al legame Morte-Resurrezione-Morte, come è mostrato nella seconda Stazione. Fantasma ultraterreno, che condurrà Mùtilo nella terza e quarta Stazione al senso della Morte, ovvero un Mondo dove potrà provare a esistere, partorire, fabbricare e distruggere senza però rendersi conto che mai conquisterà l’elisiaca e chimerica dipartita da esso tanto ricercata, poiché rimarrà e non partorirà sempre un mero Nulla. Un mero Nulla socio-psichico-esistenziale, Mùtilo, che ha arso tutta la terrena esistenza in migranti reminiscenze intimo-affettive emarginando carnali emozioni mutandole così in vacue, cadaveriche e false autocommiserazioni. Creatura infernale, Mùtilo, che troverà e conquisterà la dipartita tanto ricercata nella quinta Stazione attraverso il suicidio tomiano, ovvero l’unica strada per conquistare verginee, pure e balsamiche emozioni esistenzialmente frenetiche.
Poesia maledetta continuata nel 2018 con l’opera Apologia di un perdente.
Monologo teatrale poetico in sette atti declamato da Ezra, all’interno di un museo con un misterioso panno bianco in braccio innanzi a un anonimo teschio femminile.
Atto, il primo, in cui la Croce baconiana è concepita come un oscuro demone e un satanico specchio riflettente le nostre umide emozioni amorose, ma in particolar modo come una magistrale e impeccabile Madre Natura procreante folli, esiliate, blasfeme e malate carni. Madre e sorella allo stesso tempo che è rappresentata nel secondo atto come un Feto procreante meschine, avide, depravate, scheggiate e fredde lapidi imprigionanti sanguigne cimiterialità socio-esistenziali, come mostrato nel terzo atto. Tombe, quelle del quarto atto, come scrigni conservanti gioiose carni puerilmente reminiscenziali e quotidianamente umiliate, picchiate, ferite, abusate e infettate. Atti, quelli fin qui analizzati, che lasciano il posto negli ultimi tre atti a riflessioni, tesine, meditazioni interiori mostranti Ezra come un blasfemo e deforme essere che mai vorrebbe essere nato, poiché demone dagli sguardi chimericamente vacui e dal cuore custodente il Nulla avvolto nel panno bianco dalle sue mani, ovvero un Mondo dove l’anormalità è la normalità e quest’ultima è meramente una blasfema, mistica, brumosa, utopica e cadaverica visione. Personaggi, Mùtilo ed Ezra, simboleggianti la sanguinante carne dei puerili ragazzi salentini dediti e condannati socialmente allo spaccio, alla prostituzione, all’illegalità, alla criminalità organizzata e simboleggianti il poeta medesimo seppur a differenza dei suoi personaggi poetico-teatrali, sia riuscito a superare luttuose affettività intime, esistenze follemente drogate, vacue quotidianità socio-lavorative e dolori psico-carnali con la Poesia da esso intesa come una Luce rigeneratrice.
Opere maledette queste da completare con Metromania Bacon/Artaud ovvero Per un teatro che non andrà mai in scena insieme al poeta e performer Domenico Brancale pensata per il festival Bologna in Lettere del 2020 e mai rappresentata, per colpa della pandemia da Covid-19. Versi in corsivo, quelli del poeta salentino, che rimembrano l’arte pittorica di Francis Bacon perché partorienti la Vita, ovvero una blasfema creatura partorita da fangosi e putridi feti urlanti avidi spermi contro arrugginiti, logorati, abusati e stuprati aneliti esistenziali. Creatura, la Vita, come un Mondo animato da febbrili fisicità e cadaveriche parole in grado di procreare rancorose paure condannate a essere soffocate da cinerei venti ultraterreni. Opere, qui analizzate, con una scrittura poetica composta di schegge, brandelli, frammenti rimembranti i poeti salentini citati all’inizio insieme alla poetessa cesenatica Nadia Campana e bolognese Patrizia Vicinelli, ovvero una macchiaiolica scrittura dipingente un’oscura esistenza tentante la rinascita nella Luce ed eternamente condannata a consumare drogate lacrime emotive e subire abusi, violenze, aggressioni e stupri psico-sociali.
A cura di Stefano Bardi.
La foto del poeta è pubblicata con il tacito consenso del poeta.
L’AUTORE
Marco Vetrugno, poeta e drammaturgo, è nato a San Pietro Vernotico nel 1983. Ha pubblicato per la poesia Poetica delirio, Lupo, Lecce, 2012, Organismi cedevoli, Manni, San Cesario di Lecce, 2014, Le mie ultime difese, Manni, San Cesario di Lecce, 2015, Proiettili di-versi, Musicaos, Neviano, 2016. Per il teatro ha pubblicato Mùtilo. Un monologo per il teatro, Musicaos, Neviano, 2017, Apologia di un perdente, Elliot, Roma, 2018, Metromania Bacon/Artaud. Per un teatro che non andrà mai in scena (insieme al poeta e performer Domenico Brancale), festival Bologna in Lettere, 2020.