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Recensione: “Anima Mea” di Don Luca Buzziol | L’Altrove

Alla base dell’ispirazione poetica di Don Luca Buzziol vi è certamente la sua visione cristiana della vita, derivata dalla vocazione sacerdotale, quindi dalla ricerca del rapporto con Dio nelle dimensioni della trascendenza e dell’infinito, dell’amore e del mistero. In altre parole potremmo anche dire che la sua fede e la sua spiritualità contemplano le tre prospettive del credente indicate dal Reverendo Martin Luther King: quella verticale, rivolta al Regno dei Cieli, nella preghiera e nel canto a lode del Creatore; quella orizzontale, rivolta all’evangelica carità per il prossimo e alla realizzazione della giustizia; quella in profondità, rivolta alla propria vita interiore dove chiamata, dono, grazia, anima, meditazione e libertà si fondono nell’unica risposta che conferisce senso, significato all’esistenza.

Anima mea, tuttavia, non racchiude solo la lirica religiosa, ma si espande anche in altri aspetti del nostro vivere, soprattutto sul terreno della conoscenza e della cultura, poiché il connubio tra fede e ragione – l’intelligenza che Dio ha assegnato ad ognuno di noi – per il poeta sono il giusto equilibrio che dovrebbe accompagnare ogni uomo del nostro tempo. E la sua passione per la letteratura e l’arte sono testimonianza di ciò, che si riverbera ovviamente, anche nei testi poetici che ora andiamo ad analizzare.

Essendo Anima mea frutto dell’estro lirico, quindi che si avvale anche della sensibilità, dell’intuito, dell’emotività personali, cercando di tradurre in versi non certo tutto l’immenso patrimonio spirituale del Cristianesimo, ma la propria spiritualità, l’autore ha scelto la strada della sintesi espressiva dell’esperienza religiosa, senza quindi l’analiticità descrittiva dei nuclei dogmatici e teologici propri di un libro in prosa. Cogliamo quindi i momenti più ricorrenti e poetici del suo canto che procedono sulla pagina in modo assolutamente libero, senza vincoli di sorta.

E con la stessa libertà partirei da tre liriche i cui titoli invitano ad entrare nel suo mondo spirituale e nelle sue predisposizioni d’animo verso le realtà divine: Dio, Infinito, Meraviglia. È il Dio trinitario che egli conosce, il Dio nascosto della Bibbia, il Dio allo stesso tempo distante ma vicino nell’Incarnazione: «Sei così distante, seppur vicino, / impenetrabile, anche se conosciuto / mi allontano e Tu sei qui, / mi avvicino ed eccoti. / Tu, maestoso ed umile Dio / Ti conosco in Cristo, / ti sperimento nello Spirito Santo / e ti amo come Padre». Si eleva poi il canto per gli inspiegabili misteri delle categorie filosofiche e religiose dell’eternità, dell’immensità, dell’infinitezza, nelle quali l’uomo realizza l’unità della triade “anima-spirito-corpo”, possibile solo nell’esperienza dell’amore che si fonda sul referente dell’Assoluto. Il poeta confessa il suo stupore per la trascendenza, simile alla meraviglia del fanciullino pascoliano nella scoperta del mondo, come prima la nostalgia dell’infinito poteva echeggiare il dolce naufragare del pensiero leopardiano. Trascendenza che è la chiave dell’essere, dell’esser-ci e di quel che saremo.

Tra la sostanza dell’anima e le dinamiche della preghiera si sviluppano altre poesie dell’interiorità e della contemplazione. Sé è un invito a scrutare dentro sé stessi per scoprire le bellezze del proprio essere: nel silenzio emergono profondità impensabili. Mistica anima richiama alla fecondità della preghiera e pone in comunicazione il trascendente con l’immanente per entrare nel cuore dell’uomo e farsi «fautrice di divinità». Anima mea, con l’anafora «Alza lo sguardo, / anima mia!», è un’esortazione ad entrare in contatto con Dio creatore che ascolta il nostro dolore e le nostre preghiere, per cui nella fiducia in Lui l’uomo può trovare le risposte ai suoi perché. In Preghiera si realizza il totale abbandono in Dio da parte del suo sacerdote: «… Oh preghiera! / Oh soavità del cuore! / Oh desiderio d’infinito! / Oh segno d’amore! / Oh nostalgia divina…». E le esclamazioni rafforzano il pathos verso l’ascesa.

La contemplazione di Dio continua facendo memoria della vocazione personale, quella chiamata che ha intrecciata la sua vita con quella divina: «m’innamorai del Tuo progetto, della Tua voce» (Sacerdote). In tale dimensione di vita il poeta è attratto da chi ha attuato una scelta monastica, in particolare dalla regola benedettina: «…Silenti ed anonimi al mondo / sono, invece, portatori d’una immensa / tradizione di guida e cultura, oltre che / preghiera…» (Ora et labora). Ma apprezza, allo stesso tempo, la condizione religiosa dei monaci che dimorano in un Eremo, luogo di vita solitaria e mistica, dove l’anima sta in compagnia del suo Signore.

Come s’era inizialmente accennato, l’autore non appartiene alla schiera di quei credenti che contrappongono la fede alla ragione, ma è tra coloro che cercano un incontro, un’alleanza, una condivisone tra l’una e l’altra, poiché entrambe dono di Dio. In altri termini cultura umanistica e sapere razionale, scientifico non costituiscono un dualismo, ma si completano a vicenda. Si legga la lirica Vivere, in cui ciò è manifesto, in quanto «il lume della fede» si affianca «alla luce della ragione» e «diventano due fari che mi conducono / a vivere totalmente…». E quindi nascono composizioni come Libro, Leggere, Estetica, A te… grazie, paradigmatiche dell’impostazione religiosa e culturale dell’autore: esalta le doti divulgative del libro, di cui apprezza la presenza amica, discreta, pacifica, che ama e consiglia ai suoi simili; difende la funzione positiva della lettura «tempo acquisito, mai perso», che arricchisce per i suoi contenuti; dichiara la sua preferenza per l’estetica nell’arte, quella veste formale che, avvalendosi di soggettività ed oggettività, dona bellezza alle creazioni dello spirito umano; ringrazia il lettore per aver condiviso con lui «l’eterna arte / del senso e del perché», definizione della poesia quanto mai accattivante, come ricerca ed auto-interrogarsi sui quesiti esistenziali.

Infine, si riscontrano ancora nei testi di Anima mea, spunti di vario genere, a partire dalle pennellate naturalistiche sull’autunno, fino alle riflessioni sui limiti della libertà individuale, all’affermazione dell’essenza ontologica dell’uomo, alla forza rigenerante dell’amore. La letteratura religiosa ha molto da dire all’uomo contemporaneo: far scoprire quella grande poesia che è il Vangelo, proprio nel 700° anniversario del Sommo Poeta cristiano.

A cura di Enzo Concardi.

L’AUTORE

Don Luca Buzziol (Portogruaro, VE, 1985) vive a Chions (PN); è stato ordinato sacerdote nella diocesi di Concordia-Pordenone il 19 maggio 2012. Attualmente è parroco di Chions, Villotta e Taiedo, studente di Diritto Canonico presso la facoltà San Pio X di Venezia e notaio in tribunale ecclesiastico. Ha come passioni la letteratura e l’arte; sue poesie sono pubblicate in varie antologie.

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