Estratti ed Inediti

Estratto da “Teatro d’ombre” di Guglielmo Aprile | L’Altrove

Sonnambuli

Attraversiamo il tempo
piazze canzoni folla, come immersi
sul fondale di un gigantesco sonno;

sul sipario delle palpebre
ci scivolano fotografie e date,
bandiere e binari, e si confondono
in un brusio ostinato; e infine appare
quell’anziana dal fazzoletto viola
attorno al capo, che corre all’indietro
e ci fa cenno e ride nel guardarci.

Di tanto in tanto, un lampo
affaccia ai vetri, e ci intimidisce
con i suoi presagi calamitosi;
ma il bollettino delle 7.30
e la nenia materna dei fanali
ci anestetizzano, e noi trascorriamo
tutta la vita, o quanto ne rimane,
ad occhi chiusi, come se dormissimo.


Parabola gnostica

La burla può dirsi riuscita
a perfezione: una qualche mente
geniale anche se perversa, esperta
nel travestimento e nel depistaggio,
l’ha ideata e attuata, per suo sadico
divertimento e gusto della beffa,
disseminando di esche e falsi indizi
sentieri che considerammo a torto
familiari, obbligando i concorrenti
a quiz di intelligenza, a rompicapi
che hanno messo in crisi i più smaliziati.
Ci siamo cascati un po’ tutti:
questo bosco sotto la luna imita
voci e carezze di madre, ma trama
zanne e crepacci nei suoi porti ombrosi,
questo sobborgo che odora di zenzero
in realtà è infestato, anche se chi
ci abita neanche lo sospetta.


Prosopopee

Allestiamo scenografie complesse:
figure in costume, di cartapesta,
che scivolano su uno sfondo scuro
e tutte, senza sforare, si attengono

a una parte assegnata; ma non c’è
nessuno in platea, ad eccezione
di un solo spettatore, alla fila più in fondo,
che ha visto già troppe volte il finale

e che al buio si sganascia dal ridere
dei nostri gesti ciechi sullo schermo,
così ridondanti ma sempre uguali,

delle prosopopee in cui ci caliamo
con ostinata e assurda convinzione,
tanto rumorose quanto grottesche.


Prerogativa della specie

Non tutti gli animali sono così versati
nella recitazione;
noi soli
siamo capaci di maschere
e mongolfiere, e comode uscite di servizio
disegnate col gessetto sui muri
nel caso i livelli di ossigeno di colpo
si abbassino, e i valori di umidità e pressione
scendano sotto soglie tollerabili:
ci tocchiamo tre volte di seguito il naso
per sventare le eclissi,
storniamo lo sguardo
dalle vette e dal loro scintillio accecante;

ed in punta di piedi
scivoliamo
attraverso file di sedie sghembe
e statue con un braccio al posto dell’altro
senza farci notare, in virtù del nostro
tremendo talento per la menzogna.


Chiodo dorato

Ogni mio io si perde, sgualdrinesco orpello

Sorridi, mentre la pelle dal dorso
del serpente una scaglia
dopo l’altra si stacca; l’uomo impara
a volare solo quando si disfa
della crisalide che lo fa credere
protetto dal freddo e dai predatori,
solo quando fa a pezzi
i fiori che la sua sete lo tenta
a cogliere dalle labbra del mondo:
non mette ali, finché
non uccide l’arcobaleno
che lo incatena a queste forme brevi,
non soffoca nel sonno
l’amore, il suo carceriere pietoso,
non si strappa di dosso l’infinito
tatuato sulla pelle, questo chiodo
dorato che lo crocifigge al nulla.

L’AUTORE

Guglielmo-Aprile

Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Attualmente vive e lavora a Verona. È autore di alcune raccolte di poesia, tra le quali “Il dio che vaga col vento” (Puntoacapo Editrice), “Nessun mattino sarà mai l’ultimo” (Zone), “L’assedio di Famagosta” (Lietocolle), “Calypso” (Oedipus); “Il talento dell’equilibrista” (Ladolfi); “Elleboro” (Terra d’ulivi). Per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e Marino, oltre che sulla poesia del Novecento.

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