“La direzione è storta”. Intervista a Filippo Kalomenìdis | L’Altrove
In un anno terribile come quello appena trascorso, c’è chi è riuscito a trovare, scavando dentro le macerie lasciate dalla pandemia, la parola poetica che riesce, nonostante tutto, ad emergere su ogni cosa, a sovrastare la paura, il dubbio, le vane parole.
La poesia rimette in piedi, ridona un senso, è salvezza. Il verso costruisce nella distruzione, mantiene in vita la speranza nella disperazione.
In questo senso si è diretta la poesia di Filippo Kalomenìdis, esattamente in direzione contraria e storta.
La direzione è storta è, infatti, il titolo della raccolta in versi di Kalomenìdis, uscita il 4 marzo 2021 per Homo Scrivens, casa editrice napoletana. Un diario di bordo, un racconto intenso, emozionante, ma anche doloroso, intimo e naturale.
La poesia di Filippo Kalomenìdis ci fa ripercorrere il 2020, dall’inizio della catastrofe. I versi frugano dentro chi legge, ma non feriscono. Leggendoli si ha la sensazione di rivivere il terrore, ma ad attenuare il senso di paura c’è l’amore, la solidarietà, l’umanità. Filippo, prima di essere uno sceneggiatore conosciuto e un apprezzato scrittore, è un uomo che ama, che dona, che lotta. Dallo scoppio della pandemia si è messo subito in prima linea, collaborando con la Protezione Civile e altri enti di soccorso e sostegno, è stato vicino a chi ha più sofferto, ha viaggiato e scoperto come la pandemia è stata vissuta in altri luoghi, da altre genti.
Il viaggio in Grecia è la testimonianza di quanto sia l’uomo che il il virus siano crudeli. Tra i campi di concentramento nelle isole dell’Egeo la malattia aleggia malefica, ma c’è la rivolta e l’intenzione di creare qualcosa di nuovo e Filippo trova il suo posto.
Tra i componenti spiccano quelli dedicati alla donna amata (Siamo l’amore di quando è nato il mare. / Siamo Regina e Re con due ali di formica per voltare il mondo) e al figlio (In un piccolo letto tra le rovine / è il tuo ridere nel sonno, / Uomo Bellissimo di sette anni, / l’unico segno che il tempo perdonerà). Versi carichi di bene, nel male.
Abbiamo avuto l’occasione di conoscere meglio l’autore, di parlare e commuoverci con lui.
Ecco la nostra intervista.
Filippo, anzitutto ti ringraziamo. Come ti sei avvicinato alla scrittura in versi?
Ho sempre scritto versi. Li tenevo per me, li regalavo alle donne che ho amato, e a mio figlio. Oppure ancora li ho lasciati sfociare nel mio romanzo “Sotto la bottiglia” tra le pieghe della prosa, nei titoli dei capitoli. Alcuni, a volte, si sono immessi persino nelle sceneggiature a cui ho lavorato, sono approdati nei dialoghi dove era giustificata un’ascesa al lirismo. Ho sempre avuto tra i miei riferimenti la “poesia dei prigionieri” come Alekos Panagulis e Sante Notarnicola, quella politica di Brecht e Fortini, quella nuda, incantata e scarnificata della Candiani, e quella avvolgente e lancinante nella narrazione di scrittrici come Agota Kristòf e Barbara Balzerani.
Parliamo del tuo libro “La direzione è storta”, perché questo titolo? Ce ne racconteresti la genesi?
È nato mentre prestavo servizio come volontario con altri uomini e altre donne durante il lockdown dello scorso marzo. Vedevamo male con le mascherine indossate per la prima volta, il freddo ci assaliva gli occhi e ce li faceva lacrimare. Commentammo che le strade desertificate che attraversavamo ci sembravano storte. Guardavamo storto, cioè male, con rabbia e dolore, ogni aspetto di questo sistema malato che tormenta le nostre vite, questo capitalismo in necrosi che come effetto ultimo ha generato un’orrenda pestilenza, una Catastrofe nelle catastrofi. Lì ho pensato che la direzione per arrivare alla salvezza e alla consapevolezza sarebbe stata per me e per tutti noi prendere un percorso lungo, difficile e storto. Proprio come fanno i fiumi per sfociare nel mare e incontrare un’acqua salata, diversa da quella che portano.
Ogni poesia porta una data, come in un diario. Inizi a narrare dal 18 marzo e sveli un Filippo forse poco conosciuto. È stata un’esigenza?
Questo libro è anche un diario esistenziale, intimo e politico, che racconta il mio tentativo di ritrovare finalmente la bellezza della sincerità, la gioia della lotta, che narra il viaggio interiore che ho compiuto per riorientare la mia vita dopo aver scelto di chiudere con la scrittura per il cinema industriale e per la televisione, in quanto parti integranti di un sistema culturale corrotto e complice degli orrori in cui viviamo. Per rompere il silenzio volevo e dovevo usare le parole più appropriate, pure ed essenziali, rincontrare una scrittura autentica e mettermi a nudo senza esitazioni. Solo così potevo raccontare e dare voce ai cancellati, ai senza luogo, ai reclusi nella malattia e nei Lager che sono entrati nella mia vita nel 2020.
“Ho paura di restare solo nel lockdown” scrivi nella prima pagina introduttiva.
La poesia in generale, in particolar modo la tua, ti è servita ad avvicinarti e a sconfiggere le distanze fisiche e non? La solitudine è stata vinta?
Attraverso queste mie pagine ho riabbracciato, ripreso a camminare accanto e a collaborare con tanti compagni e compagne di strada indispensabili. Artisti, guide ed esempi di integrità come Mario Faticoni e Leonardo Boscani. Attorno a questi versi è sorta l’idea di fondare il collettivo artistico e politico “Eutopia” con un’alleata fondamentale, rara e dal talento narrativo innato come Alessandra Finà, ed è nato il lavoro a un nuovo libro comune sui cancellati, sulle moderne vittime della damnatio memoriae dal titolo “Per tutte, per ciascuna e Per tutti, per ciascuno” con autrici e autori emergenti, con le allieve e gli allievi dei corsi di scrittura che conduco. Poi è arrivato il sostegno e la fiducia di una scrittrice immensa come Barbara Balzerani che ha scritto la prefazione de “La direzione è storta”. Poi ancora il ritrovarci con Anna Terio, una delle attrici più geniali, pure e feroci che abbia incontrato, con la quale abbiamo avviato un progetto di scrittura che prende le mosse dalla mia esperienza. Infine l’ultimo, prezioso ed inaspettato dono mi è arrivato dalla voce guerriera e sconvolgente di Elda Salemme, una delle migliori cantanti italiane della sua generazione, che sta mettendo in musica le mie poesie. Nel tempo della Catastrofe, della frantumazione sociale, abbiamo il dovere di creare dei vincoli autentici, di non restare soli e di non far rimanere soli gli altri. Di arrivare agli altri.
Non hai solo scritto e documentato la pandemia, ma hai agito. Hai collaborato con l’Anpas, Pubblica Assistenza di Bologna e la Protezione Civile. Hai dato da mangiare ai senzatetto, ai malati, a quelli che ne avevano più bisogno.
Ho offerto semplicemente le mie mani per dare un piccolo aiuto, ho scelto la mobilitazione civile che nel tempo della pandemia è un atto politico di resistenza a un sistema malato, individualista e criminale di cui il Covid-19 è uno dei tanti e più eclatanti effetti. Con lo stesso spirito mi sono mosso verso Lesvos per conoscere i rifugiati del Sud del mondo reclusi nei Lager costruiti dall’Europa e raccogliere la loro storie e le loro parole.
“Per amare bisogna perdersi”, dici, si tratta di un donarsi completo. Quanto ti è costato farlo?
Il prezzo da pagare all’amore autentico e consapevole è sempre talmente grande da essere incalcolabile. Ma ho imparato che soltanto la generosità rende la vita degna di essere vissuta.
La raccolta è anche un diario di viaggi compiuti, prima Bologna, poi la Sardegna e i Balcani. In ogni luogo hai amato e sofferto.
“La direzione è storta” ha al centro un lungo viaggio verso le origini dell’amore, un viaggio compiuto proprio nel momento in cui l’amore viene perduto e cancellato. Nel 2020, ho vissuto lo spezzarsi di un legame d’amore che era il perno di ogni mio passo e respiro, dall’altra parte – come tutti noi – ho vissuto il divieto di respirare accanto agli altri. La mia reazione è stata opposta. Mi sono avvicinato con tutto me stesso alla possibilità di salvarmi con gli altri ricordandomi le mie origini di nipote e figlio di rifugiati. Da qui anche la necessità dell’approdo a Lesvos, l’isola tra l’Europa e l’Asia, da millenni emblema dell’amore senza confini, e oggi simbolo della fine dell’accoglienza con il rogo del campo di Moria e la costruzione del Lager di Kara Tepè, dove vengono segregati i migranti, i senza luogo in fuga dalle guerre e dalle carestie causate dall’Occidente. Ho scritto queste pagine in primis per mio figlio perché possa conoscere un giorno i pezzi, i frammenti di verità e di amore che suo padre ha raccolto.
Ogni luogo ti ha dato una forma. Cosa sogni per Bologna, per Sassari e per le città greche?
Il sogno ha un significato se diviene lotta concreta per il sovvertimento di una realtà crudele e insostenibile. Una lotta che deve passare attraverso lo svelamento delle verità che il potere nasconde. Dal fatto che le agonie causate dal Covid-19 sono terrificanti, inimmaginabili sino alla persecuzione sistematica e organizzata degli ultimi, e al loro annientamento psicologico e fisico quando non possono essere anelli della catena del profitto. Dobbiamo immaginare e ricostruire un mondo dove i popoli possano incontrarsi liberamente, senza confini, dove il denaro non sia il fine delle nostre esistenze, dove gli oppressori e gli sfruttatori vengano disarmati, e dove la cura di questo pianeta gravemente ammalato sia lo scopo della vita di ciascuno di noi.
Sembra anche che ogni uomo o donna che hai incontrato, guardato e aiutato ti abbia dato qualcosa, ti abbia mostrato la sua anima. Tra le tante parole e i tanti sguardi incontrati, ce n’è uno che porterai per sempre con te?
Come posso sceglierne uno? Ognuno di loro, con la bellezza che mi ha donato, è parte integrante e fondamentale di ciò che sono ora e di ciò che sarò.
Oggi ci è possibile scorgere la fine di questa distruttiva epidemia. Tra la morte e la vita, tra la poesia e il silenzio, riesci a immaginare cosa proverai nel momento in cui tutto sarà finito?
Siamo ancora nel pieno dell’attraversamento di una pandemia che rischia di diventare endemia e i poteri continuano e continueranno ad approfittarne per istupidirci, schiavizzarci, impoverirci spiritualmente e materialmente, arricchirsi e levarci il respiro. Ma, come tanti, ho la piena percezione che siamo alla fine inesorabile del loro ciclo e del loro dominio. Per questo è fondamentale impegnarsi e arrivare a un nuovo pensiero, a una nuova idea di comunità e renderla attuabile. Questi anni Venti del Duemila somigliano atrocemente agli Trenta del Novecento, ma abbiamo il dovere di impedire che la Catastrofe sia definitiva. Il tempo è poco, ma dobbiamo riuscirci. Sono stato parte di una generazione che ha gridato che un altro mondo è possibile, adesso per i nostri figli dobbiamo abbracciare l’unico mondo possibile, quello senza la violenza quotidiana dei distruttori che ci opprimono e quella dei loro servi.
Infine alcune poesie tratte dal libro La direzione è storta:
Diciotto marzo 2020. Bologna, davanti alla mia casa di fortuna.
LE PRIME SETTE ORE DI QUESTO MONDO
Non è la vostra casa ma siete qui per amarvi,
proprio ora che tutti siamo persi dietro le nostre porte.
Tu sei seduto sul letto, parli nudo
di quanto tempo e quante strade
hai conosciuto per raggiungerla.
Avete addosso solo il sudore e i respiri di stanotte,
proprio ora che tutti siamo silenzio artificiale.
Tu sei in piedi, lo ascolti nuda,
e nella bottiglia di vino che vi passate
c’è il ritorno di domani, ognuno al proprio sguardo.
Siete bellissime ombre di vent’anni dalla mia finestra,
per baciarvi e per nascondervi il buio non basta.
Non è la vostra casa ma in sette ore
avete creato i sette giorni del cielo e della terra.
Proprio ora che tutti siamo Fine, voi siete Inizio.
Cinque aprile 2020. Bologna, porto da mangiare a dei senzatetto accampati nel vuoto di via Indipendenza. Uno di loro è malato. Gli do delle medicine, parlo con lui.
LA BENEDIZIONE DI SAN TOMMASO
Alla fine le lettere d’amore vengono sempre bruciate.
Per questo ho bruciato
le preghiere di pace e le promesse di guerra.
Per questo ho bruciato
i miei granai e i miei cavalli.
Per questo ho bruciato
ogni goccia del mio sangue in un cucchiaio.
Per questo ho bruciato
le labbra che baciavano i miei figli,
e i fiori e il legno dei loro giochi.
Perché il freddo di questa febbre
chiede tutte le notti un rogo in cui dormire.
Dio ti benedica, uomo che cerchi di curarmi,
ma maledica i tuoi occhi
che mi riconsegnano all’amore.
Otto aprile 2020. Bologna, Quarto Inferiore, Deposito della Protezione Civile, con i volontari.
LA DIREZIONE È STORTA
La direzione è l’alba che esce dagli occhi nostri,
la direzione è storta come le braccia nostre.
Carichiamo su un camion
medicine che non guariscono
e le portiamo in un orizzonte
che non possiamo guardare dritto.
Nessuno sa chi sia l’altro,
nessuno sa una parola da dire,
né sapremo mai perché ci diamo coraggio.
Conosciamo però il peso di ogni cassa
e questo mattino grande e abbandonato,
e questi occhi nostri che si sorridono nudi.
Venticinque agosto 2020. In tanti riprendono ad avere paura del virus.
Dopo oltre un mese rivedo Leonardo.
In un solo giorno, da Bologna a Tempio, ci raccontiamo tutte le storie che
non ci siamo detti nelle notti in cui siamo stati lontani.
IL NOSTRO VIAGGIO
Fuori dal finestrino dell’aereo
può esserci il mare che si ferma,
fuori dal finestrino dell’auto
può esserci il cielo che scappa,
ma il tuo sguardo si incanta
per il mio braccio lungo su di te.
Per i tendini che ti fanno chiedere
come un giorno saranno i tuoi,
per i peli chiari sui muscoli,
per le vene che ti dicono
che il sangue rinasce
sempre dal sangue,
per il polso e l’orologio
su cui batti un tempo
di puntini bianchi sulle unghie.
E, al sicuro, i miei occhi
si chiudono prima dei tuoi.
Quindici ottobre 2020. Karà Tepè, supero i controlli all’ingresso del campo di concentramento grazie a Sylvine che mi presenta come un nuovo volontario e faccio ai poliziotti la promessa, non mantenuta, di non scattare fotografie. L’andirivieni dei senza luogo e dei militari è soffocante. Uno dei pochi luoghi non sovraffollati è la strada che affianca la Green Covid Area. Un recinto con alte reti coperte da plastica verde trasparente. Sopra ancora filo spinato e dentro decine e decine di prigionieri affetti dal virus sono accampati sotto il sole rovente di giorno e nel gelo di notte. Guardo uno
di loro, dai tratti penso sia afgano. Magrissimo, seminudo, la pelle bruciata che le ossa aguzze sembrano voler bucare.
GOM SHO – گم شو
Con le unghie
incidi una pietra.
Con la stessa pietra
tracci
un segno
sulla terra
dura
per aprirla.
Poi la raccogli,
ne lanci
una manciata
contro la rete verde.
Non rispondi
alle voci
che da fuori
ti chiedono
dei malati
nascosti
nelle tende
accasciate
sotto il vento.
«Gom sho»,
dici ai brividi
nelle ossa,
alla poca ombra
che li moltiplica,
al sole
che alza
la febbre.
«Vai via».
Cammini
attorno al
tuo giaciglio
sui due metri
di sabbia
che ti sono concessi
Guardi verso
la rete
che nega
gli occhi
alle bestie
rinchiuse nella gabbia verde
al centro
di
Karà Tepè.
Nessuno
può sapere
come sono diventati
i tuoi,
né tu puoi
vedere
come sono
quelli
che non hanno addosso
anche
le sbarre
della malattia.
«Gom sho».
Se ti porteranno
un Dio
disposto
a perdonare chi
toglie
ai prigionieri
lo sguardo
dei compagni,
tu gli dirai
le parole
sacre
del deserto.
«Vai via».