Inediti di Silvio Talamo | L’Altrove
Il Sogno
Ti sogno perché ti voglio, sia chiaro.
Io lo so, tu lo sai e così ti lasci
sognare e senza avviso
per puro desiderio, quello tuo,
mi lasci bruciare in quello mio.
Non c’è sogno che non indichi
e per mia soddisfazione,
quella inscritta nella carne,
incavata dentro ai sensi,
è questo mio sognarti
che mi ha spinto fino a te.
Così anche tu hai tuo,
ciò che è mio e mi reco appresso.
Quando sono per toccarti,
quell’astuta fantasia
profuma ancora viva.
Poi affondo nel tuo collo,
sparisce ogni parola
e dimentico ogni sogno.
Tu mi hai chiamato
ed io ora sono qui.
Il cielo, stamattina, è un soffio di luce
Il cielo, stamattina, è un soffio di luce
e dal suo specchio limpido
di sole, fiorito come una cupola
su me, lascia caderne
un velo sui palazzi,
spostando, lento, le ombre un po’ più in là.
I piccioni, nel loro pizzichìo,
ingoiano le briciole lasciate
sulle aiuole dalla notte e le pareti
alte della città, sopravvissute,
pur sempre scure, a secoli di smog,
invocano la forza che dimostrano.
Il vento scherza con le foglie e appeso
ai rami se li porta,
come fruste nell‘acqua,
in basso. Addirittura
le formiche, sparite da decenni,
brucano intorno ai buchi nella terra;
mentre, rare, le nuvole cavalcano
sotto il blu… Non c’è traffico a ruggire
e neanche fretta tra le cose intorno…
Vola un foglio di carta…
Ed io so, perché l‘ho visto, che il fiume
verde (oltre le stradine) è dolce letto
per i cigni. Un corteo rosso sfila
in silenzio di fronte al marciapiede
ma è ancora per me fin troppo ordinato
e due matrone turche, con le buste
della spesa, spariscono in un market.
Qualcuno questa notte ha fatto festa:
ancora fresche, in terra, le bottiglie
dicono come il moto dei pianeti…
Io sto su una panchina e guardo il tutto
e tutto il movimento è intelligenza.
L’ombra
C’è un ombra nella mia casa, silenziosa
e sorniona mi osserva mentre dormo.
Non so se sia gentile, ingenua o bestia.
Lascia in pace i cassetti e non rovista
ma sa che faccio e penso, conosce ogni
mio piano e cedimento. Tace e aspetta.
La fessura degli occhi, luminosa
al buio, mi accompagna nella veglia.
Forse è una spia di un dio, mi dico per
capire, un assassino oppure un angelo.
È sempre stata lì
da prima che arrivassi.
Quale il suo compito per me un enigma.
È qui feroce per sbranarmi oppure
lasciarsi cavalcare, seducendo
selvaggia, dolce solo nel sottrarsi…
Inutile ignorarla, tornerà’ …
Sensibile all’artiglio, ma non meno
che alla piuma,
dovrò trovare il modo, in una guerra
senza scudo, cucire le parole
con terra ed aria, addurle,
lasciarle scivolare
in alchemiche catene,
e qui ospitarle.
Non ci è dato di vincere,
così potrò parlarle …
A bagnarsi nella luce,
è nel tempio dei pensieri
che dovrò cercare un tempo,
l’affannoso stabilire
la via che canta il patto
con la voce delle ombre.
Due dita di vino
Versatemi solo due dita,
ancora due dita
di vino nel bicchiere
e fatelo finché
sono qui sdraiato.
Vorrei mi richiamasse
a mente quell’ebbrezza
che mi ha governato
l’intero pomeriggio
e tutti quei banchetti,
quei momenti d’entusiasmo
consumati nello sguardo
che poi ho dimenticato.
Vorrei mi rinfrescasse la memoria
di ciò che mi ha parlato
il giorno che arrivai:
quando tutto era nuovo,
una festa la città.
Se poi fosse cosi buono,
forse, prima che il sonno piombasse,
andrei ancora un po’ più indietro:
a quel canto d’abbondanza,
– re inscritto nei vagiti del pensiero
consegnatoci all’entrata
per chi nasce nel cammino.
Ora, qui, sdraiato sul tappeto,
la pancia gonfia di utopie
e nel pieno del ricordo
che io considero pienezza,
potrei vivermi la sera,
le sue ore ingenuamente;
salvo da tutte le paure:
certamente quelle mie,
non meno che le vostre.
Chi mi chiama è al confine
Chi mi chiama è al confine,
mai al centro.
Spesso non ragiona
ma dai bordi costruisce nuovi incontri.
Perché abbiamo bisogno
di strade; nuove strade
da comporre nel vuoto
in cui ci hanno gettato.
E’ una nuova frontiera,
non lontano ma dentro
la tua terra. La esplori,
viaggiatore stranito,
eco dentro ai vicoli
di un borgo abbandonato.
Ogni ciclo di fine
e rinascita celebra,
bruciando, il fiore eterno
del tempo che ti avvolge.
Così ancora, e col fango,
ricostruiamo radici
per l’uomo e per la donna
nel deserto di sale
che una volta era il mare
dove abbiamo nuotato,
alla cui riva abitato.
È la lotta del grano,
il grano della mente,
il grano della terra
il grano che è nel petto
– quella forza che
ti viene a chiamare,
a vedere nel vuoto
uno spazio da riempire.
L’AUTORE
Silvio Talamo è nato a Napoli il 1972. Si laurea in filosofia alla Federico II con una tesi sulla poesia giullaresca medioevale. Attivo sul piano letterario, è interessato al tempo stesso al mondo della parola orale, della musica e della performance. Vive da anni a Berlino, dando luogo ad una intensa attività artistica. È stato tradotto in tedesco nella raccolta Poesie Gedichte. In preparazione una traduzione in Spagnolo.