Riscoprire i poeti

“Davanti San Guido”: il senso del vuoto nelle scelte | L’Altrove

Quel lieve, ma sì forte senso del vuoto generato dall’irresoluto enigma che assilla un po’ tutti quando è tempo di fare una scelta, può essere, talvolta, deleterio, può lasciare sgomenti.

Che sia il tempo di partire, il tempo di svoltare o anche, semplicemente, il tempo di cambiare, il senso di disorientamento e l’angosciosa impasse costernata dai mille dubbi che assillano il soggetto è un comune dato di fatto.

Tale si sentiva colui che la letteratura italiana può vantare di avere nel suo repertorio in quel famosissimo momento in cui percorreva il celeberrimo viale fiancheggiato dai maestosi

cipressi che da Bólgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar.

Si capisce, si parla del Carducci e della meravigliosa “Davanti San Guido”.

Leggendo i primi versi dell’opera si coglie da subito la sua grandezza: i cipressi, simbolo dei mille ricordi d’infanzia, si fanno persone, attimi ed emozioni che in un sol balzo s’interpongono tra la scelta già presa dal protagonista, ovvero andar via, e l’esitazione del suo cuore.

La profondità sta in due parole: “Mi riconobbero”.

Siamo all’interno dello smarrimento totale dei pensieri, a testimonianza di quanto la mente possa “Joyceianamente” vagare.

Siamo al paradosso: sono i cipressi a riconoscere Carducci, e questo è un punto assai commovente per quanto intenso.

Intensità che accompagna il lettore a concepire il pensiero del poeta forte a tal punto da renderlo osservatore partecipe e silenzioso che quasi può suggerire la mossa da fare.

Intensità cosi forte che spiazza totalmente il protagonista fino a condurlo, da subito, con enorme pathos, verso la scelta del cuore, dei ricordi.

Fresca è la sera e a te noto il cammino”,

cosa c’è di più invitante, seducente? E, a seguire, addirittura!, si giocano la carta del senso materno del perdono dei peccati:

Ira non ti serbiam delle sassate
Tue d’una volta,

quasi a purificarlo del tutto da quei peccati-non peccati di giovinezza.

Siamo qui nella fase debole: si comprende facilmente come queste parole abbiamo avuto l’effetto sperato…protagonista è in gabbia!

E tali siamo tutti noi, quando, dopo aver preso una decisione, pur sempre poco prima di arrivare alla fase ultima e conclusiva della scelta, ci facciamo prendere da un più che mai infame senso di riflessione intimistica: i ricordi del cuore collegati a quel che si sta lasciando.

Basta immergervisi per un attimo e si rischia d’esser travolti.

Ben presto, però, giunge quella fermezza d’animo, ovverosia la ragione, che ci riporta sul mondo terreno strappandoci, ferocemente, dal mondo dei sogni.

Ed ecco qui che anche il Carducci, che vedremmo benissimo in quella vaporiera con una lacrima, fermamente si fa forza e risponde loro con un leggero senso di debolezza che si può benissimo cogliere nell’aggettivo, non tanto possessivo quanto più romantico, “miei” usato per rivolgersi ai cipressi, per l’occasione, sempre assai romantica, “cipressetti”.

E qui tocca un altro tema chiave con
Fedeli amici di un tempo migliore, dove il tempo migliore è certamente l’infanzia che è caratterizzata dall’assoluta spensieratezza e della totale non conoscenza della cattiveria della vita adulta.

Si lascia andare, poi, in discorsi vari per allontanarsi un po’ dai ricordi e mettere in evidenza quanta strada abbia già fatto, come quando qualcuno si ricorda che i sentimenti sono tanto, ma se si vuol raggiungere un obiettivo, o, per meglio dire, un sogno, bisogna mettere i sentimenti in un cassetto, superare gli ostacoli, e quindi fare delle scelte, per poter tornare poi ad aprire quel cassetto ma con gaudio!

Un ulteriore momento lineare col nostro discorso giunge dopo alcuni versi, quando i cipressi cercano di annientare il poeta:

Ben lo sappiamo: un pover’uom tu se’.
Ben lo sappiamo,

Come dentro al tuo cuore eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

Non c’è nulla da fare, quando siamo presi nella morsa dei ricordi, è quasi impossibile staccarsi da quel dolce stato di abbandono che ci conduce, quasi come poggiati su candida nuvola, a rivivere la bellezza dei momenti felici.

L’abbiamo fatto capire poc’anzi: ci si salva solo nell’infanzia, quando tutto è gioco, una volta adulti la vita è dura, tosta: o si sceglie o si viene scelti da questa.

Questa infanzia che come balsamo alleggerisce la vita, viene più volte propinata al protagonista, con seduzioni quasi irresistibili; con l’eterno Pan che

Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà.

E quasi anche Carducci si stava per lasciar scegliere dalla vita, poiché di lì in poi non v’è più pace per il poeta, sarà una continua discesa per lui senza possibilità d’appiglio, salvo alcuni momenti in cui proverà a motivare le sue scelte pragmatiche

(Lontano, oltre Appennin, m’aspetta
La Tittí).

Ma niente, i cipressi/ricordi/sentimenti non lo lasciano più e si giocano il carico pesante: la nonna! E qui l’abbandono è totale, al cuor non si comanda, il poeta è ormai quasi vinto.

I ricordi fanno bene, ma, in alcune circostanze, possono distruggere.

Da questa infinta agonia, si esce fuori, con risolutezza, scegliendo, decidendo di crescere, di abbandonare l’infanzia che, seppur magnifica, non è la stessa di quando la si vive da bambini!

L’adulto è dentro la foresta, perché lo si sa bene che gli uomini dicono, e in parte lo sono, di esser diversi dagli animali, ma in sostanza si tratta di una lotta che non si può sostenere con l’animo spensierato di un infante.

Ed allora viene il momento di scegliere di vincere questa lotta, con se stessi.

Viene il momento di crescere, a qualsiasi età.

E così anche il Carducci fa la sua scelta, e viene fuori da questa tremenda impasse tornando in sé e per farlo sceglie una metafora fantastica: l’asin bigio!

Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.

Chiusura fantastica, modo eccezionale di ritornare con i piedi per terra e fermi nelle proprie decisioni, che, si capisce, erano già state fatte.

Per quanto è soave tutto il componimento, tanto è drastica la chiusura: l’asino non guarda e non sente nulla, non si accorge di niente, va dritto per il suo lavoro.

E cosi il protagonista, non si lascia più tormentare, ma sceglie di staccarsi da quei pensieri e di proseguire per la sua via.

Così come noi davanti ad un bivio: ci mordiamo le mani, ci abbandoniamo al piacere dei ricordi, ci siamo quasi per cadere e cedere, ma, nel momento decisivo, prendiamo la scelta, drastica, che porta ai nostri sogni.

Saremo pure asini, perché è più bello vivere una vita da bambini, ma è ancor più soddisfacente avere la contezza della vita che si vuole vivere, dei sogni che si vogliono realizzare, delle scelte che si vogliono prendere, per vivere, probabilmente, poi, una vita felice, bambina!

A cura di Lorenzo Romano.

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