Inediti di Matteo Rusconi | L’Altrove
#44
Mi porto a casa il rumore della fabbrica
come un reduce porta dentro di sé
il ricordo della guerra.
Nella doccia ritrovo
lo stridere del metallo
il battere del martello
e tra i capelli ho sparsi i trucioli di un cristo di ferro.
Il tempo ciclo è importante più dell’ anima,
la velocità è tutto
gli avanzamenti sono tutto
e il mio invecchiare è il niente,
io sono solo un meccanismo sostituibile.
Mi porto a casa l’odore della fabbrica
come un cane che ritorna da un tuffo nella fogna
e sul limitare penso spesso
al tempo perso là dentro
alla poesia di Prévert nel mio armadietto
e al sole che brucia le spalle
mentre alla mia pelle ci ha già pensato il solvente.
FIORE DI CARTA
Dieci ore al chiuso
tra le mura di una fabbrica
mi costringono a dimenticare
di cosa sia fatta l’aria.
Quello che mi riempie fino ai polsi oramai
in gran parte non è più ossigeno,
è acqua che cola marcia
dal rubinetto del cassone del ferro.
I peli del mio naso
sono fili di ruggine e truciolo
e i calli mi parlano
di un padrone lucido e freddo, una lamina
di acciaio temprato.
Dieci ore di lavoro
chiuso in una latta di olio esausto
mi aiutano a forgiare
la tempra di questo foglio
mentre lungo i finestroni di cemento e vetro
cerco l’ultimo respiro buono.
Domani, sotto l’ombra di un fiore di carta
sarò un petalo di cellulosa esplosa
domani, all’ombra di un campo di frumento
riposerò per non essere più corrotto
dall’umidità del metallo.
Varcata la cancellata
siamo legionari che si conquistano il pane.
Le antinfortunistiche sono scudo
la chiave a brugola è gladio
la lima a denti grossi il pugnale dell’affondo.
Le nostre vite restano fuori
come cani fedeli
come l’amante che aspetta il suo turno.
Passiamo alla storia
con il nome inghiottito dall’azienda.
Lunedì rientro in fabbrica
dove si tornisce il ferro e l’acciaio,
roba grossa e pesante
diametri minuscoli e micromeccanica.
Lunedì riparte il lavoro
senza straordinari a tagliare il metallo
che c’è la crisi di settore
e intorno alle fabbriche
c’è una sorta di guerra.
Nel caldo da sembrare agosto
mi porterò un panino
e una mezza bottiglia di acqua
per non fare pausa
per dirmi che andrà tutto bene.
Lunedì al rientro in fabbrica
lascerò fuori dal portone
le tracce di una poesia e una bicicletta:
che mi guidino all’uscita
fino alla porta di casa.
Le luci del mattino non sono fatte di alba
sono led fluorescenti che investono la via
e la fanno sembrare viva.
La produzione già mi aspetta con i suoi cancelli aperti
e con le finestre degli edifici che sembrano sguardi assatanati.
Le ante dei portoni mi ricordano fauci spalancate.
Le macchine all’interno sono diavoli che non dormono
attendono la mia carne per pungerla e squamarla
sotto vivide luci da sala operatoria.
La fabbrica è una bestia che nera non riposa,
ha denti d’acciaio cariati di polietilene
con cui mi morde polpastrelli e palpebre
e la strada tortuosa è la sua lingua che viscida mi cattura.
La fabbrica è una bestia che mi insegue giorno e sera
reclamando la mia schiena
perché mi vuole possedere con i suoi meccanismi
mentre le luci del mattino
rimangono tremori di stanchezza che non passa
e io sono stanco, tanto stanco di scappare.
L’AUTORE
Matteo Rusconi, conosciuto anche come Roskaccio, nasce a Lodi nel 1979.
Poeta e operaio, nel 2017 pubblica la sua prima silloge intitolata Sigarette – Venti Poesie Per Smettere Domani (Ed. Ilmilibro.it).
Alcune sue poesie sono apparse in varie antologie, tra le quali NOvecento Non Più (2016. Ed. La Vita Felice) e La Nostra Classe Sepolta. Cronache Poetiche Dai Mondi Del Lavoro (2019, Pietre Vive Editore).
Cura il blog Parole & Carriole.