Nasceva oggi

Nasceva oggi: Sergej Aleksandrovič Esenin | L’Altrove

Nasceva oggi il poeta russo Sergej Aleksandrovič Esenin.

Nato a Kostantinovo nel 1895, Esenin si rivelò subito un talento letterario. All’età di nove anni iniziò a comporre le prime poesie. Nel 1912 iniziò a lavorare come correttore di bozze a Mosca e nel 1916 pubblicò la sua prima raccolta di poesie.

In quegli anni conobbe poeti già famosi e la sua poesia fu molto apprezzata. Ai successi letterari si unì una vita sentimentale turbolenta. Esenin ebbe molte mogli ed amanti, tra queste anche attrici e ballerine. Tuttavia gli ultimi anni della sua vita non furono felici; venne, infatti, ricoverato in una clinica per disintossicarsi dall’abuso di alcolici. Lasciata la clinica, si impiccò in una camera d’albergo nella notte tra il 27 e il 28 dicembre 1925 all’età di 30 anni. Ma l’ipotesi del suicidio non è tutt’oggi confermata.

La poesia di Esenin fu molto apprezzata negli ambienti letterari russi.
Le prime opere dimostrano ancora l’attaccamento alla vita contadina, semplice, che aveva vissuto nella sua infanzia. E poi una delicatezza verso il sentimento amoroso che lo faceva distinguere dagli altri poeti del tempo.
Negli anni però, l’alcolismo e gli amori sbagliati, mutarono la sua esistenza.
Il bel poeta agreste si trasformò in un uomo facile all’ira, ma, nonostante questo, il livello della sua produzione poetica si mantenne alto fino all’ultimo.
Dopo sua morte, Stalin mise addirittura al bando l’opera del poeta. Solo dopo anni Esenin venne risconosciuto come uno degli più importanti poeti della Russia.

Poesie di Sergej Aleksandrovič Esenin

Non più vagabondo, smetterò di cercare
Le tue impronte, di pestare le bietole
Lungo gli arbusti rossi: per sempre
Dimenticherò il covone dei tuoi capelli d’avena.

Meravigliosa eri e dolcissima;
Il sangue delle bacche sulla pelle,
Somigliavi a una distesa raggiante
Sotto il tramonto rosa.

Poi sono appassiti gli acini dei tuoi occhi;
Il tuo nome si è spento, friabile come un suono.
Ma nelle pieghe dello scialle ti è rimasto forse
L’odore delle mani innocenti, odore di miele.

E verso sera, nell’ora del silenzio, quando il sole
Sul tetto sembra un gattino intento a lavarsi il muso con la zampa,
I vortici dell’acqua mi sussurrano di te miti parole
E la loro voce trema nel vento.

O almeno qualche volta la sera turchina
Mi dica che tu sei musica e sogno.
Anche se colui che ti plasmò così, sinuoso il fianco e le spalle,
Ha baciato il tuo splendente mistero.

Non più vagabondo, smetterò di cercare
Le tue impronte, di pestare le bietole
Lungo gli arbusti rossi: per sempre
Dimenticherò il covone dei tuoi capelli d’avena.


Non rimpiango, non chiamo, non piango
ma tutto passerà come fumo dai meli bianchi.
Accerchiato dall’oro della sfioritura,
non sarò più giovane.

Ormai non batterai più come un tempo,
cuore, toccato dalla frescura
ed il paese delle telose betulle
non mi alletterà a bighellonare scalzo.

Anima vagabonda! Sempre più di rado, di rado
agiti la fiamma delle labbra
oh, mia freschezza perduta,
violenza degli sguardi e pienezza dei sensi.

Ormai sono diventato più avaro nei desideri,
vita mia, forse ti ho solo sognata?
Come in un sonante mattino di primavera
galoppavo su un cavallo rosa.

Tutti noi, tutti noi siamo caduchi a questo mondo.
Cola lentamente dagli aceri il rame delle foglie…
E che sia per sempre benedetto,
quello che venne a fiorire e morire.


Arrivederci, amico mio, arrivederci.
Tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
Un futuro incontro promette.

Arrivederci, amico mio,
senza strette di mano, senza parole,
Non rattristarti e niente
Malinconia sulle ciglia:
Morire in questa vita non è nuovo,
Ma più nuovo non è nemmeno vivere.

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