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“Viavai”, la poesia più grande del mondo è di MisterCaos | L’Altrove

45°24’24.6”N
9°16’02.3”E

Se cercate su un qualsiasi motore di ricerca queste coordinate, o ci cliccate sopra, troverete una città, San Donato Milanese. Se aprite la mappa, vi troverete davanti una barriera di dieci metri. Invalicabile. Spezza San Donato Milanese in due, due pezzi quasi diversi della stessa città. Si tratta di una barriera insonorizzante costruita attorno ai binari della ferrovia, un colosso dell’edilizia degli anni ’60, che divide Via Giuseppe Di Vittorio dal resto di San Donato.
È lì, su quella barriera, che MisterCaos ha scritto la poesia più grande del mondo: Viavai.

Conosciamo bene MisterCaos, street-artist e poeta, il quale nel corso degli anni ha arricchito decine di città con la sua poesia, trasformando luoghi, rivalutando posti caduti in disuso con la sua arte.

MisterCaos è nato e cresciuto in questa città dell’hinterland milanese, è lì che ha iniziato a fare poesia di strada. E forse non poteva scegliere un luogo diverso per scrivere la sua opera più monumentale.
La poesia più grande del mondo occupa 11.248 metri quadri, a 10 metri di altezza, ed è fruibile solo ed esclusivamente tramite foto da satellite o dagli alti palazzi vicini.
È un’opera gigantesca, dedicata da MisterCaos alla sua città, alla strada che l’ha visto crescere e formarsi.

La poesia non si trova lì per caso. L’artista si è servito delle parole, della costruzione e del suo significato. Via Di Vittorio è vista come luogo di degrado e criminalità, il suo essere, poi, isolata dal resto della città ha aumentato nella popolazione Sandonatese questo senso di diffidenza e pregiudizio.

Un’opera dalle varie sfaccettature, che unisce differenti tecniche di esecuzione, di stili, di linguaggi.

Abbiamo parlato a lungo con MisterCaos, gli abbiamo chiesto qualcos’altro riguardo Viavai e lui ci ha gentilmente risposto.

Ecco la nostra intervista:

Come nasce Viavai?

Credo che Viavai sia uno dei miei pochissimi lavori che “non è nato”. Viavai c’è sempre stato per il fatto che il mio lavoro è stato “semplicemente” mettere per iscritto una sensazione comune a tante persone. Io ho solo tolto il velo da qualcosa che c’era già.

Sono nati prima i versi o il progetto da realizzare in strada?
Sono nati insieme ma in due emisferi diversi del conscio. l progetti e le idee per il tetto in origine erano diversi, doveva esserci scritto un’altra cosa: Debordare (che poi è diventato il titolo della mia prossima personale curata dalla mia amica storica Simona Cioce). L’unione delle due cose è arrivata in un secondo tempo anche se l’intento comunicativo e il concept sono rimasti sempre gli stessi.

Un’opera che hai voluto dedicare al quartiere in cui sei cresciuto. Perché questa scelta significativa?

Quando sei innamorato fai regali senza pensarci. Tutto qui.

La tua poesia esprime rabbia, ma allo stesso tempo riesce ad emozionare e commuovere. Puoi raccontarci la sua genesi?

Nella mia testa Viavai è una poesia d’amore, non di rabbia. La sua genesi è molto più banale di quanto si possa pensare: per un periodo della mia vita mi sono trasferito oltre la barriera (ogni riferimento a the game of thrones non è puramente casuale) e ho vissuto lontano dalla Via* per un paio d’anni, nel “mondo normale”. Viavai è stata semplicemente la traduzione diretta di una nostalgia.
*diminutivo popolare per definire il quartiere di via di Vittorio dove sono nato, cresciuto e vivo tutt’ora.

Che rapporto hai con la tua città e, più in generale, con la strada?

Mi innamoro delle città scrivendole. Scrivo poesie sopra i muri e per le strade, perché è il modo più sincero che ho per relazionarmi con il mondo, con il tessuto urbano e con le persone che vivono i territori in cui mi innesto. La strada è sempre imprevedibile perché è un banco di prova immediato, puoi essere accolto o meno ma è proprio in questo margine che matura la relazione, la dialettica e i contrasti che smuovono, senza rompere, l’equilibrio della nostre città a senso unico. Credo fermamente che le parole che dipingo sui muri siano solo uno strumento. La vera opera, la vera poesia, è l’interazione tra quelle parole dipinte e tutto il resto. Quel filo invisibile e indescrivibile che sostiene in un perfetto equilibrio le mie parole, il luogo in cui le innesto e le persone. Senza tutto questo non avrei né il motivo né lo stimolo di scrivere le mie poesie per strada.

Ti conosciamo da tempo, è cambiato il tuo approccio verso la poesia in questi anni?

Se mi guardo da fuori credo l’approccio sia maturato,seppur l’idea alla base dei miei lavori rimane sempre la stessa dal primo giorno ovvero l’esigenza di relazionarmi con il mondo circostante.

Adesso siamo curiose. Progetti per il futuro?

Sicuramente un mostra personale, continuo a dipingere e portare la poesia di strada e nelle scuole. Poi mille altri progetti pazzi: #nospoiler. –

Ecco il testo di Viavai:

VIAVAI
Ritratto a una periferia qualunque – 2018

Vai via da questo viavai
che ti dimentica in fretta,
che ti sta sempre col fiato sul collo
ma quando hai bisogno
non ti da retta.
Via perché qua a tratti
quasi non si respira,
i materassi sui marciapiedi,
i lampioni spenti o intermittenti,
i parcheggi vuoti
e le auto comunque in doppia fila.
Via dalle urla,
tra balconi dei vecchietti,
che per capirle devi sapere
circa cinque, sei o sette dialetti.
E ancora:
le spinte e le sberle in cortile,
a casa a prendere il resto,
i fuochi d’artificio
anche quando non è festa.
Via con le mie cicatrici,
l’unica cosa che resta.
Via da dove i miei amici
ancora non vogliono entrare.
Dal grigio, la rabbia e la nebbia,
dalle scuse di una via chiusa
dai sottopassi che puzzano di piscio
e là, la mia vecchia casa.
Via da questo via vai,
unità di misura con cui vivo le cose,
e adesso che non ci sono
è un chilometro di parole confuse.
Via dal mio scudo,
che di fatto era fatto di sole coperte,
dai sogni con cui ho intasato i cassetti,
e dagli stipiti stretti
delle porte che per quelli come noi
non erano mai aperte.
Via dalle partite infinite di pallone
e dalla mia scuola elementare,
dai tramonti perforati dagli aeri per Linate,
dalla ferrovia che ci divide,
con sopra il treno
ogni mezz’ora
per scappare.
Via perché se vieni da qui
nessuno ti prende sul serio
perché tutto questo lo capisce solo
chi si concede davvero:
La rabbia, il rispetto e il riscatto,
il cuore aperto di una via chiusa,
i posti che mi hanno cresciuto
e il viavai
che io chiamo casa.

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