Recensione: “Betulle danzanti” – Poesie scelte di Glen Sorestad | L’Altrove
Betulle danzanti – Poesie scelte di Glen Sorestad – traduzione di Angela D’Ambra (Impremix Edizioni, 2020) è un riconoscimento all’esemplarità del mondo naturale, una cartolina d’autore in cui ogni paesaggio dell’anima è una rappresentazione pittorica dipinta sulla carta, un’ istantanea immanente della forza generatrice e della realtà sensibile. I versi, mescolati ai colori raffigurati, lusingano la bellezza assoluta della natura, le immagini la raccontano come una passeggiata letteraria intorno ai luoghi amati e vissuti dal poeta in Canada.
Il poeta frequenta il misticismo poetico con la prosa simbolica del verso libero, allungato, sa assorbire le sensazioni esterne e coinvolgere l’intimità dell’ispirazione, includendo lo spazio esteso di ogni inclinazione per la partecipazione profonda e solidale alla vita.
Leggere Glen Sorestad è immergersi nel romanticismo dell’universo, ad equilibrio e valutazione di tutti gli eventi e delle reazioni emotive dell’uomo e del suo peregrinare. Il poeta riceve accoglienza dagli scenari circostanti, respira la gentilezza di ogni alito di vento, ristabilisce i cambiamenti delle stagioni, nutre il mantenimento dei ricordi. Il vincolo vitale, l’affinità simbiotica con lo spirito comunitario sono i legami enfatizzati nella sua poesia, nell’atmosfera comune e popolare di ogni libera condivisione. Un’efficace interpretazione dello spirito e della materia in relazione ai principi perenni che abitiamo e rispettiamo. Il poeta osserva i dettagli del mondo, nell’identità delle sue esperienze di vita, è profeta alla ricerca di risposte sensibili. L’estatica armonia con l’essenza fenomenica accorda un’autobiografia interiore, diffonde una visione sconfinata di infinite prospettive, una poetica panteistica dell’energia vitale. La capacità estetica dell’autore è la premurosa intuizione dello stupore, l’incantevole fiducia nell’evocare territori suggestivi, attraverso la mediazione illuminata della comprensione. Glen Sorestad è un autore contemplativo, assorto nella “danzante” volontà di vivere e nella disponibilità nobile della percezione emotiva. Il poeta esplora, ascolta e analizza per ospitare e comunicare ogni riflessione sostenendo il personale sollievo rigenerante, destinandolo all’esuberanza dell’umanità. La conservazione cortese dell’elegia, sussurata ed indulgente, rivela nuovi orizzonti linguistici, esprime la commozione necessaria nella descrizione delicata di ogni piccola cosa, di un pensiero, di un gesto, di un’istante che meritano di comporre il miracolo della poesia. Ne è esatta coincidenza l’omaggio lirico al poeta Walt Whitman che scriveva: “…la domanda, ahimè, la domanda così triste che ricorre – Che cosa c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah vita? Risposta: Che tu sei qui – che esiste la vita e l’individuo, che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi con un tuo verso.”
Di seguito alcune poesie da Betulle danzanti
Aide memoire
Il mondo ha inizio e fine nel ricordo:
ciò ch’io ricordo è ciò che sono.
Quel filo d’erba che, ragazzo, io
strappai sì che al soffio mio vibrasse
davvero l’aria sgretolò col suo stridore?
Un mondo ricordato ha in sé verità
e realtà assai più chiare d’echi.
Nelle mani a coppa del ricordo
la verde, fine festuca di ciò che siamo
freme d’un suono così raro.
Notturno
1.
La notte non è mai abbastanza scura per qualcuno.
Sempre ci saranno cose da celare.
Il freddo parla la sua propria lingua. Ascolta.
L’orecchio più sordo udrà qualcosa.
Paura non avere di notte, freddo, buio.
È di noi stessi che dobbiamo aver paura.
2.
Un cuore aperto sentirà sempre il male.
Chiudilo, se devi. Tutti i cuori muoiono.
I cuori aperti sanno la gioia del sì.
I cuori chiusi solo la pena del no.
Solo un folle tenta di fermare il vento.
Lo stesso folle tenta di fermare il male.
La mano aperta è soddisfatta di sé.
La mano chiusa sempre si chiede perché.
Clessidra
Le prove sono ovunque. Granelli di sabbia.
I nostri giorni vanno persi in banalità: riunioni,
appuntamenti, liste di commissioni, note su post-it
incollati ad ante di credenze perché non ci sfuggano,
fissati da magneti al frigo come comandamenti,
o affissi come strazianti appelli per micetti smarriti,
tersi promemoria delle nostre vite divenute
una colonna sonora di arrivi e partenze,
il suono e la voce di calendari e diari.
Ignoriamo l’immagine – la sua metà inferiore,
con la sabbia in aumento. È il ritmo crescente
dei funerali cui assistiamo che ci fa pausare,
che ci fa sentire la misura, l’urgenza,
il rullo premonitore del tamburo.
Colpo dopo colpo, grano dopo grano.
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La bellezza è dove la trovi
Perché negare che Bellezza
può illuminare un giorno di gennaio
quando il vento fa una sosta
e l’aria è un silenzio,
una coltre d’attesa?
Persino quel misero sole,
quella volpe furtiva
che striscia sempre a sud,
fa balzare brillanti sfaccettature di diamante
sulla neve scolpita,
malva d’ombra.
Questa cartolina invernale
m’appaga,
non mi soffermi a lungo
ad ammirare l’algido prodigio
dei luccichii della neve, preso
tra contraddizioni –
bellezza o tepore.
Suoni
Ecco. Quello è il suono
che m’è mancato – il suono
che m’infiamma i sogni,
che nella notte viene e va:
un tiptap di strascico di vento
in moto fra betulla e pioppo,
che struscia i fianchi
su punte di peccio e pino.
Bentornato, dice.
Betulle danzanti
Betulle, sull’isola,
pallide danzatrici invernali,
braccia protese verso l’alto,
a invitare il sole,
eseguono la loro lenta danza,
facendo fluttuare le foglie nuove
con l’arte delle geishe.
A cura di Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”
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