Estratto da “La vestaglia del padre” di Alessandro Moscè | L’Altrove
Il tempo ti ha rapito
Benedetto tempo slavato di febbraio,
privato delle lancette, riaffiorato nel salto dei delfini
o nei drappi delle nuvole, nei bacini dei fiumi,
nei cellulari spenti, nelle case popolari.
Ci ha riservato le cose peggiori,
non ha mai avuto fantasia, né alcuna clemenza
battendo nei quadranti impolverati degli ospedali
trattenendo ogni pratica umana.
In un lampo mattiniero, papà,
l’orario ti ha sottratto l’ossigeno e l’aorta ha ceduto,
inflessibile cronometro che girava a vuoto.
Il tempo ti ha rapito arrivando dalla storia, da ogni storia…
Evangelico, il parente del quartiere Vallemiano di Ancona,
il primo che ti vide sul binario di Porto Recanati
e l’ultimo che ti ha salutato a Fabriano,
Enrico, che eri andato a prendere alla stazione
e che ti ha riaccompagnato
in una coincidenza di treni locali
per l’aldilà che precede l’ora di pranzo.
Ora siamo qui a scavare episodi su episodi
con i nostri sorrisi interiori
di stagioni lontane sul ciglio dell’estate del 1976,
con sempre meno zii e più fotografie nei portafogli
“Arrivederci Roma” canterai,
sulle note di Renato Rascel in un varietà televisivo
prima di abbracciare nonno Alvaro con la giacca gualcita,
nonna Irma elegantissima con la camicia di pizzo delle nobildonne,
in piedi con il vassoio per un brindisi serale.
Ingoierete la luce del bene, la lunga memoria
cucita nella stoffa dei pantaloni a gamba larga,
nella pelle rimarginata lungo le vene incrociate del braccio.
Tesserete una trama con l’universo, vi riconoscerete
battendo nuove strade nel passeggio dei fondisti
L’amore è la necessità della mia malinconia,
la giovinezza rincorsa da un millennio,
la stazione che prepara un addio.
E’ vero che amiamo chi non c’è più
come la prima volta,
non durante l’abbraccio, ma dopo che se ne è andato?
Nessuno ha ancora capito che l’essere creati
non risparmia dalla solitudine di un parto,
l’intermezzo tra un io e un noi
nella quiete di ogni rinvio o illusione
per l’eternità dei figli mai nati
Quando sarà la mia ora
non preparerò la valigia di cartone di mia madre
che ho conservato nell’armadio,
perché so già che non finirà nulla
tra il batticuore e la parola indecifrabile,
dietro il silenzio della notte
che non è mai in bilico sulla corda
per attraversare nascita e morte
con i piedi davanti allo sguardo
di chi non cade mai
Lo sanno
La polvere nascosta nella camera da letto,
gli interstizi delle mattonelle nel pavimento nell’atrio
e gli armadi a muro lo sanno
che non ci sei più.
Lo sa la borsa dell’acqua calda
sotto la vestaglia che indossa qualcun altro
che dalla cucina maschera un sospiro infaticabile
non credendo che il nulla sia nulla,
in un marzo discreto di mezzo sole
che arriverà nei glicini rampicanti e nel bianco sfumato delle azalee.
Lo sa la signora garbata del piano di sopra che non parla
e lo sanno le cravatte annodate sulle grucce,
chiuse al buio che non vediamo
Ho preso in mano il tuo cuscino dove un capello curvo
ha l’impronta del viaggio serafico
dove custodisci la giovinezza di Ancona e di Roma,
uno specchio in stile francese antico
per la barba con la schiuma al mentolo,
scorgendo un profilo da attore prima di infilare i guanti di pelle
come sul porto di Ancona, a San Ciriaco nel 1957,
nell’orizzonte della nebbia sfidata dal faro
e dal suono dei traghetti che gettavano gli ormeggi.
Sul Colle Guasco tenevi per mano un’intera vita,
il tuo passo sicuro tra i segnali marittimi
della navigazione costiera,
traccia dei tuoi imbarchi d’amore
L’AUTORE
Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Si occupa di letteratura italiana. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro 2004), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali 2008, finalista al Premio Metauro), Hotel della notte (Aragno 2013, Premio San Tommaso D’Aquino), la plaquette in e-book Finché l’alba non rischiara le ringhiere (Laboratori Poesia 2017) e La vestaglia del padre (Aragno 2019). È presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato il saggio narrato Il viaggiatore residente (Cattedrale 2009) e i romanzi Il talento della malattia (Avagliano 2012), L’età bianca (Avagliano 2016, finalista al Premio Onor d’Agobbio), Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville 2018, finalista al Premio Flaiano). Ha dato alle stampe l’antologia di poeti italiani contemporanei Lirici e visionari (Il lavoro editoriale 2003); i libri di saggi critici Luoghi del Novecento (Marsilio 2004), Tra due secoli (Neftasia 2007), Galleria del millennio (Raffaelli 2016) e l’antologia di poeti italiani del secondo Novecento, tradotta negli Stati Uniti, The new italian poetry (Gradiva 2006). Si occupa di critica letteraria su vari giornali, tra cui il quotidiano “Il Foglio”. Ha ideato il periodico di arte e letteratura “Prospettiva” e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. Il suo sito personale è www.alessandromosce.com.