Inediti di Andrea Abruzzese | L’Altrove
Il mio involucro
D’estate, dalla finestra, ascolto
le persone camminare, ridere, correre
e disteso sul mio letto,
gli occhi l’unica forma di comunicazione,
vorrei sapere cosa si prova
ad avere le membra stanche.
Immagino i loro corpi unirsi, così belli e forti,
e desidero le carezze di una donna…
Farmi raccontare l’amore dalle sue dita.
D’inverno vorrei sentire il freddo
fortificare la mia pelle,
con la leggerezza dei fiocchi di neve.
Mi domando cosa ho fatto di male
per meritarmi questo involucro idiota,
se il creatore che me lo ha donato,
nella sua officina, abbia
qualche pezzo di ricambio
degno di essere chiamato corpo.
E vorrei gridare, con i miei occhi,
a quelli che possono, domandando
il perché, del loro sadico accanimento.
Perché non mi lasciano libero di salutare
questo insensibile complesso di carne e ossa.
E quando di notte la Luna illumina il mio corpo
adagiato sul letto, perennemente sospeso nel vuoto,
penso a chi può correre, saltare e danzare,
al loro sogno più grande… volare.
Io desidero solo poter appoggiare
i piedi sulla terra e camminare.
Continueranno a giudicarti
Quando ti vedranno, piccina, camminare sotto la tempesta,
senza neanche uno straccio a coprire la tua giovane età,
con i piedi minuti che sprofondano nel fango,
anche allora ti diranno:
che sei troppo nera o non abbastanza bianca.
Ma tu che sopravvivi tra le gioiose illusioni di essere bambina
e le amorevoli cure per il tuo fragile fratellino,
non permettere loro di violentare la tua innocente anima.
Non farti convincere che sei diversa.
Perché, anche quando ti vedranno arrivare su una zattera,
fantasma di quella bambina, che hai visto la morte negli occhi
e l’ha vista mietere vite nel fondo del mare, anche allora
ti punteranno contro i loro indici giudicatori,
come armi pronte a sparare, sempre nel verso sbagliato,
e ti diranno che sei venuta a invaderci, a infettarci.
Ma tu non lasciare che si prendano i tuoi sogni.
Non farti togliere il diritto di diventare donna e madre…
non permettere che distruggano
la tua voglia di vita, di libertà.
Ilva
Dalle ciminiere si eleva il fumo
a tormentare il cielo.
Di giorno assassino del Sole,
la notte violentatore della Luna.
Scende verso la terra,
come angelo dell’apocalisse,
con la sua polvere di morte,
a portare quel male innominabile.
E anche la neve, quando dall’alto cade,
non dona meraviglia o gioia,
sottomessa da quella cenere funesta.
Quel fumo mortale che si diffonde nell’aria,
una nube malvagia che rapisce
i figli di questa terra,
gli innocenti sorrisi dei bambini,
le inconsolabili lacrime dei genitori,
i ricordi dei cari…
Tutto avvolto dalla coltre fatale.
Tutto muore in questo luogo,
un cimitero deserto il suo destino,
divenuto un’eterna processione funebre.
E le persone domandano,
a quello straziante silenzio che li circonda,
cosa sarà di loro, quale sarà il futuro,
cosa resterà quando la nube si sarà presa tutto e tutti.
Resterà questa mostruosa fabbrica di morte…
Resterà questo tumore.
A Giovanna 11/03/2020
Giovanna aveva l’innocenza di una bambina.
Le meraviglie del cielo erano il suo tetto,
un’anima invisibile alle persone, sconosciuta alla fortuna,
regalava i sogni a lenzuola di cartone, di cemento il letto.
Un giorno arrivò una solitudine che mette paura,
aveva il volto del nulla, l’odore d’infetto…
nelle strade vuote, Giovanna indifesa creatura,
sognava, più di ieri: parole, pensieri, un gesto d’affetto.
E mentre i balconi diventavano palcoscenici di quarantene,
e si elevavano canti e poesie dall’isolamento,
per sentirsi uniti nell’andrà tutto bene,
Giovanna donò il suo respiro al vento,
le membra alla terra, al cielo le sue pene.
Ave, o Maria
Maria lesse di amore terra promessa,
e sognò unione di Tea, illusione di poesia,
in un mare di rosa rossa…
Ave, o Maria piena di grazia…
Ripete ora per coprire,
incandescenti chiodi di parole,
che su croce d’amore, la fanno appassire.
Incubo che la rende insonne…
Tu sei benedetta fra le Donne…
Di quelle mani sul suo corpo,
che non sono ambasciatrici di carezze,
non sono baci, ma artigli di corvo,
di gelosia le sentenze.
E a profanarle la pelle, di viola…
Santa Maria, madre di Dio…
Sono lame taglienti, colpi di pistola,
sono petali strappati, dall’odio.
Maria sognò poesia, visse speranza
di essere Luna, del Sole consorte,
ma è donna, sposa di violenza…
Adesso e nell’ora della nostra morte.
Amen.
L’AUTORE
Andrea Abruzzese è nato nel 1989 a Foggia, città in cui vive e lavora. Scrive poesie dall’età di 14 anni e una di esse, intitolata “Nemico invisibile”, è stata pubblicata sulla Bottega di poesia del 29/03/2020, di la Repubblica Torino, a cura di Gian Luca Favetto.
Un commento
logout2016
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