Poesie ritrovate: Giovanna Sicari | L’Altrove
Giavanna Sicari è una delle poetesse italiane che vale la pena di conoscere.
Nasce a Taranto il 15 aprile 1954. All’età di circa otto anni si trasferisce a Roma con la sua famiglia e, da adulta, decide di studiare Lettere all’università La Sapienza. Allo stesso tempo si avvicina ai movimenti poetici degli anni settanta e inizia a comporre le sue prime poesie, la prima viene pubblicata nel 1982 sulla rivista Le Porte, e dopo Alfabeta, Linea d’Ombra e Nuovi Argomenti. Nel 1985 inizia il suo lavoro come redattrice della rivista Arsenale e nel 1986 pubblica Decisioni nei Quaderni di Barbablù con prefazione di Milo De Angelis. “Sarei morta se non avessi scritto Decisioni” dichiara la stessa Giovanna in Diario della prima ispirazione, a conferma di quanto questa prima raccolta sia un’espressione della vita della poetessa. Due anni dopo pubblica Ponte d’ingresso, poi Sigillo nel 1989.
In tua assenza
Non c’è niente da temere
su quell’unica trapunta giacciono solide valigie
l’ultimo pensiero degli arabeschi del pomeriggio
è un manoscritto di quest’era senza usignoli:
sopra il borbottio barocco,
L’infinito arpeggio del mondo civile,
morente alla frontiera.
In tua assenza è l’incontro con i forestieri
più neri dei corvi
più bianchi dei cigni.
Tu sei senza archi
sei una lumaca molle.
Non faccio resistenza
sono sordamente epilettica,
il mio freddo gravita nell’orbita solare
fuori campo in questa scena.
Non toccarmi con forza
nel lago del sogno della di lui promessa terra desolata
sono promessa sposa nel fondale marino di un bordello:
immancabile è la vertigine,
lo stile appreso è il giusto spavento.
Nel 1990 sposa il poeta Milo de Angelis da cui ha il figlio Daniele. Nel 1995 dà alle stampe Uno stadio del respiro, ma è in questi anni che la Sicari si ammala e inizia il suo calvario tra operazioni apparentemente riuscite e chemioterapie. Intanto si trasferisce con il marito e il figlio a Milano, dopo qualche tempo torna a Roma e qui vive gli ultimi anni della sua vita. Nell’ottobre del 2003 viene ricoverata e muore il 31 dicembre dello stesso anno. Pochi giorni prima della sua morte viene pubblicata da Jaka Book la sua ultima opera, la più importante, considerata il suo testamento poetico, Epoca immobile.
La poesia di Giovanna Sicari si discosta fin da subito dalle correnti poetiche esistenti. È poesie permeata dalla realtà, poesia cruda e vera, senza fronzoli vari. Ogni verso della Sicari è capace di sconvolgerci, si muove dentro di noi e al momento opportuno colpisce, un pugno ben assestato.
Ad oggi, dispiace che la poesia di Giovanna sia poco conosciuta o, forse, sottovalutata. La cosa bella, invece, è la nuova edizione di Sipario uscita per Donzelli Editore lo scorso anno.
Sognavo che ero morta e camminavo
l’ignoto scandiva impeti e campane
l’ignoto, quando tutti seguono la legge
dà la vertigine, una macchia il sole
all’improvviso, ricordava tracce di ideali:
penitenti bagnati sull’asfalto
accarezzano aria.
Seguitemi – dissi – ho mani divise
cerco un insensato forte luogo
di alghe e sesso
dove lo scenario ha puri battiti sfrenati
coperte nuziali ricamate di cielo.
Non ho che cosce dure e capelli di ferro, l’amore è una risata
sarcastica, l’amore dal petto caricato di un prestigiatore
attende che il petto sia una mareggiata
che arrivi alla gola e bussi e crepi.
Si avverte nella poesia della Sicari un senso di abbandono nei versi, scritti con foga come una piena difficile da arginare. C’è chi racconta che la poetessa, quando scriveva, sembrava in trance e questo è comprensibile bene leggendola. Ogni composizione non lascia spazio ad altri pensieri o divagazioni, ti prende e ti fa suo, in maniera impetuosa. È difficile resistere ad una poesia in cui osserviamo soldati, divise militari, vampiri, banditi e perfino Cleopatra.
Epoca immobile, di contro, fa da collante e calmante alle prime tre raccolte. Sarà per la malattia, sarà per il sopraggiungere di un senso meditativo o evolutivo, ma la raccolta suggerisce temi e toni meno belligeranti. Già dal titolo.
Il parolaio tace
Il parolaio tace, i fatti
sono fermi impietosi, non posso chiamare
il dire é pietoso,
da una finestra scorgo una specchiera,
forse sarà lì la mia casa,
sempre in quel minuto sereno
dove piangono altri, dove premono
altre certezze e gridano le voci di dentro.
Io, caos umano, vivo nella gioventù
di altri: fanciulli senza colpe si scambiano la lingua
la lingua brucia in un soffio il loro giorno compiuto.
Io lavoro lavoro in tre spazi divisa.
Ogni brindisi commuove, ogni anima tradisce
ogni viaggiatore rompe l’argine per sempre
e i fuochi alle finestre attendono
ciechi l’aprile.
Fosse rabbia fosse caldo questo continuo
sentirsi rapinati: ladro alle spalle
magazzino superfluo
e noi così superbo aspettando
l’ora di una comparsa
avremmo da dire
da fare, nelle mani
fretta, desiderio
fosse questo giorno chiaro di gennaio
il perno degli anni che non danno pace.
Tutto ciò fa di Giovanna Sicari e della sua poesia un mondo da riscoprire e da conservare strettamente dentro di noi.
Foto di Dino Ignani.