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Nobel per la Letteratura 2018 e 2019 | L’Altrove

È stato assegnato ieri, 10 ottobre, il Premio Nobel per la Letteratura per l’anno 2018 e per il 2019. I vincitori sono Olga Tokarczuk, scrittrice polacca per “l’immaginazione narrativa che con enciclopedica passione rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita” e Peter Handke, scrittore e poeta austriaco per “il lavoro influente che con ingegnosità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana.”

La Tokarczuk, classe ’62, è molto apprezzata nel suo Paese ed ha esordito con la raccolta poetica Miasta w lustrach nel 1982, non ancora tradotta in italiano, ma Bombiani ha pubblicato la scorsa primavera il suo romanzo più conosciuto, I vagabondi.

Handke, invece, è uno scrittore che ha fatto molto parlare di sé, sia quando affermò che il Nobel andava abolito, ma soprattutto quando difese Slobodan Milošević, ex presidente della Serbia e della Jugoslavia e condannato poi per crimini contro l’umanità. L’austriaco, al contrario della scrittrice polacca, è stato tradotto in Italia da diverse case editrici, Guanda in primis.

Di seguito vi proponiamo alcune poesie di Peter Handke:

Il canto della durata è una poesia d’amore.
Parla di un amore al primo sguardo
seguito da numerosi altri sguardi.
E questo amore
ha la sua durata non in qualche atto,
ma piuttosto in un prima e in un dopo,
dove per il diverso tempo del quando si ama,
il prima era anche un dopo
e il dopo anche un prima.
Ci eravamo già uniti
prima di esserci uniti,
continuavamo a unirci
dopo esserci uniti
giacendo così per anni
fianco a fianco, il respiro nel respiro
uno accanto all’altra.
I tuoi capelli bruni si coloravano di rosso
e diventavano biondi.
Le tue cicatrici si moltiplicavano
e diventavano poi introvabili.
La tua voce tremava,
si fece ferma, sussurrava, trasaliva,
si volgeva in una cantilena,
era l’unico suono nella notte del mondo,
taceva al mio fianco.


Sulla durata non si può fare alcun affidamento:
nemmeno la persona religiosa
che va ogni giorno a messa,
neppure chi è paziente, l’artista dell’attesa,
nemmeno colui che ti è fedele
e che senza esitazioni sarà sempre con te,
può avere la certezza per tutta la vita.
Credo di capire
che essa diventa possibile solo
quando riesco
a restare fedele a ciò che riguarda me stesso,
quando riesco ad essere cauto,
attento, lento,
sempre del tutto presente a me stesso sino nelle punte delle dita.

E qual è la cosa
a cui devo restare fedele?
essa ti apparirà nell’affetto
per i vivi
– per uno di loro –
e nella consapevolezza di un legame
(anche soltanto illusorio).
e questa non è una cosa grande
particolare, non è insolita, sovrumana,
non è guerra, non è allunaggio,
non è una scoperta, un capolavoro del secolo,
la conquista di una vetta, un volo da kamikaze:
io la condivido con altri milioni di persone,
con il mio vicino e allo stesso tempo
con gli abitanti ai margini del mondo,
dove grazie a questo fatto comune
si crea lo stesso centro del mondo
che è qui accanto a me.

Da Canto alla durata (Einaudi) Traduzione di Hans Kitzmüller

Elogio dell’infanzia

Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.

Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima
e tutte le anime erano un tutt’uno.

Quando il bambino era bambino
non aveva opinioni su nulla,
non aveva abitudini,
sedeva spesso con le gambe incrociate,
e di colpo si metteva a correre,
aveva un vortice tra i capelli
e non faceva facce da fotografo.

Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?

Quando il bambino era bambino,
si strozzava con gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
e con il cavolfiore bollito,
e adesso mangia tutto questo, e non solo per necessità.

Quando il bambino era bambino,
una volta si svegliò in un letto sconosciuto,
e adesso questo gli succede sempre.
Molte persone gli sembravano belle,
e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di fortuna.

Si immaginava chiaramente il Paradiso,
e adesso riesce appena a sospettarlo,
non riusciva a immaginarsi il nulla,
e oggi trema alla sua idea.

Quando il bambino era bambino,
giocava con entusiasmo,
e, adesso, è tutto immerso nella cosa come allora,
soltanto quando questa cosa è il suo lavoro.

Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela,
ed è ancora così.

Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere,
ed è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così,
a ogni monte,
sentiva nostalgia per una montagna ancora più alta,
e in ogni città,
sentiva nostalgia per una città ancora più grande,
ed è ancora così,
sulla cima di un albero prendeva le ciliegie tutto euforico,
com’è ancora oggi,
aveva timore davanti a ogni estraneo,
e continua ad averlo,
aspettava la prima neve,
e continua ad aspettarla.

Quando il bambino era bambino,
lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia,
che ancora continua a vibrare.

da Il cielo sopra Berlino (di Wim Wenders, 1987)

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