Recensione: "Focu" di G. Gernino a cura di Nino Barone | L'Altrove
La nuova silloge del poeta Giuseppe Gerbino è un concentrato di sicilianità. Essa contiene 55 componimenti che seguono la più autentica tradizione nostrana. Scrive Giuseppe Elio Ligotti nella sua prefazione: tutta la raccolta è un osanna dell’endecasillabo. Si susseguono infatti ottave e quartine in rima ora alterna ora chiusa o incrociata. Buona parte dei componimenti si chiude con un distico.
Per meglio comprendere le concezioni poetiche del poeta Gerbino bisogna fare un salto indietro e scandagliare il suo percorso artistico e umano nel periodo che va dalla pubblicazione della sua prima silloge ME FRATI ARVULU (2009) a oggi. Il poeta, in FOCU, ha acquisito certamente una reale consapevolezza attraversando condizioni esistenziali che lo hanno catapultano in spaccati di vita vera. Non più quel poeta essenzialmente sentimentale: Pusatu ‘n capu l’acqui cristallini, si trova stu paisi veru beddu. Oppure il poeta dai versi dedicati al padre: partìa chi ancora nun avìa agghiurnatu pi la campagna dunni travagghiava… o ancora a quelli dedicati alla madre: comu fazzu a spiegarivi bonu sta criatura mannata di Diu?
Siamo davanti a un poeta che sembra abbia trovato una strada, la sua strada, in cui si riconosce lasciandosi scivolare tutte quelle incertezze che avevano contraddistinto la sua poetica: e quannu chi haiu la testa chi mi svota, mi vâ riparu sutta li so’ frunni. Oggi il poeta ricerca costantemente se stesso in relazione a ciò che lo circonda riuscendo a trasmettere con intensità lirica la sua vera personalità, il suo pensiero superbo: nuddu ti tocca, mancu cu la menti! La ricerca d’infinito in FOCU si materializza: na stidda pari chi mi scaccia l’occhiu comu pi diri: no, nun stari affrittu! Lasciando definitivamente quello che, in ME FRATI ARVULU, era un tassello mancante che Gerbino ricercava con costanza: talìu lu celu e ‘un trovu la me stidda…
Un cambiamento che il poeta stesso, in questa nuova silloge, denuncia con disinvoltura mediante il suo “dolce verseggiare”: fu tuttu chiddu chi mi mmaginavi… ora sugnu omu; sugnu focu, focu chi quarìa, chi ti ristora e duna puru luci…
Un poeta consapevole, dunque, nel pieno della sua maturità che riesce, come pochi sanno fare, ad attrarre, incuriosire il lettore con le sue trame equivoche risaltate da Giuseppe Elio Ligotti nella sua prefazione in cui scrive: già nel testo di avvio, Nuddu ti tocca, tutto è incentrato su un gioco di prestigio, su un voluto e accattivante equivoco, con tanto di agnizione finale.
I temi trattati in FOCU sono variegati, non mancano le poesie sentimentali ma più consistente risulta la poesia sociale che Gerbino affronta con coraggio e umanità. Il poeta partecipa al dolore altrui con versi che sprigionano rabbia per il mondo ingiusto in cui siamo costretti a vivere: eu v’addumannu scusa siddu vinni a dari mpacciu nta sta vostra terra…in riferimento al flusso migratorio degli ultimi tempi. Tratta il delicato tema dell’Eutanasia, del Femminicidio esaltando sempre Donna e Libertà. Non meno interessante ciò che riguarda il Terrorismo religioso che imperversa nel mondo e del quale l’occidente è stato più volte obiettivo. Gerbino, anche in questo caso, non si risparmia dall’affrontare l’argomento, manifestando rabbia e inettitudine: nun pozzu cuntrastari fatti brutti comu chiddi chi ‘n Francia succideru… eu v’addumannu scusa, però criu chi Allah o Budda o nautru…è un sulu Diu!
Un poeta che, nonostante lo status raggiunto, spesso si lascia dominare dalla malinconia
ritornando senz’altro più fragile nel suo, a volte impervio, percorso di vita: stidduzza mia mi trovi ancora cca… parrami ancora dimmi qualchi cosa… senza di tia, lu sai soccu mi sentu?
La poesia di Giuseppe Gerbino è robusta, prorompente e incisiva al punto da farsi leggere tutta d’un fiato nonostante l’utilizzo, a mio avviso, spregiudicato dell’enjambement.
Insomma, un continuatore di tutto rispetto della tradizione poetica castellammarese, un convinto sostenitore della lingua siciliana che propone attraverso un eccellente impianto ortografico. Un leone da domare – scrive Giuseppe Vultaggio nella sua postfazione – facile preda, fuoco ardente e acqua di pace, un virtuoso che non solo eccelle in ciò che fa, ma gli è riconosciuta dai più la disposizione dell’animo rivolta al bene.
Dalla sua personalità vulcanica, già dimostrata in ME FRATI ARVULU, non poteva che nascere FOCU: lu scuru no, nun havi a supraniari!
Recensione a cura di Nino Barone.
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