Intervista al poeta Edoardo Sanguineti | L’Altrove
Oggi vi riproponiamo un’intervista al poeta Edoardo Sanguineti da parte di una scolaresca, la V B della scuola elementare Gilberto Govi di Genova Sturla.
Professore, da bambino immaginava di diventare un poeta?
A 10 anni volevo fare il ballerino, ero solo, avevo pochi amici ed ero timido.
Una volta un insegnante organizzò un corso per ragazzi; si sedette al piano-forte e chiese se qualcuno voleva ballare ed io, nonostante la mia timidezza, mi alzai e mi misi a ballare come se niente fosse… Poi, invece, non ho fatto il ballerino.
Professore, a scuola era bravo in lingua italiana?
Sì ero bravo. Studiavo molto, i miei genitori erano affettuosi, ma severi.
Sì, l’italiano mi piaceva, ma anche la matematica mi piaceva moltissimo. Infatti, all’atto dell’iscrizione all’Università ero indeciso tra lettere e matematica.
Poi decisi per lettere.
Qual è stata la sua prima poesia?
Scrissi la prima poesia da ragazzino, non ricordo l’età, ma ricordo che la scrissi su un quaderno scolastico. Era una fantasticheria: esprimevo il desiderio di andare da solo in qualche luogo. Credo di averla letta ai miei genitori. Doveva essere molto brutta, però bisognava in qualche modo incominciare… Era come un sogno… Chi incomincia a scrivere poesie, inizia sempre così…
Qual è la poesia a cui è più affezionato?
È difficile rispondere perché il tempo fa cambiare opinione. Direi che è, forse, una poesia scritta nel 1981. S’intitola “Nella mia vita ho già visto …”. La scrissi dopo 30 anni di carriera, come se fosse la chiusura di un bilancio della raccolta delle mie poesie.
Quali sono gli argomenti ispiratori delle sue poesie?
Anche questi cambiano nel tempo. Ho scritto cose molto diverse tra loro, perargomento e per forma. Il tema ricorrente è stata la famiglia e l’amore. Negli ultimi tempi ho scritto poesie di viaggi, perché il viaggio è una buona occasione per scrivere poesie, si ha tempo per pensare e prendere appunti.
Lei è docente universitario. Preferisce insegnare o scrivere poesie?
A me piacciono tutte e due le cose. Sono fortunato perché sono riuscito a faredue cose che mi piacciono. Insegno anche per vivere, ma se dovessi scegliere scriverei poesie. Il poeta è un mestiere non facile.
Lei è una persona ottimista o pessimista?
È una domanda difficile. Nella vita tutti abbiamo momenti buoni e cattivi. Si è ottimisti in certe fasi e pessimisti in altre. Gramsci diceva: «Ci vuole pessimismo nell’intelligenza e ottimismo nella volontà».
Quindi, mai abbandonarsi alla tristezza e rimanere passivi davanti al dolore.
Non sempre è facile mantenere questa regola di condotta.
I suoi allievi collaborano con Lei nella stesura delle poesie?
No, la poesia è un’attività individuale. Si può, però, fare in collaborazione. Una volta un poeta messicano organizzò un incontro con altri poeti, uno francese, uno inglese ed io: abbiamo lavorato insieme per alcuni giorni. Ognuno scriveva la sua parte nella sua lingua.
Anche i Giapponesi scrivono poesie di gruppo. Una volta incontrai dei poetigiapponesi e insieme abbiamo scritto poesie: io scrivevo in italiano e loro in giapponese.
Come mai ha deciso di far parte della poesia d’Avanguardia e non di quella tradizionale?
Perché quando incominciai a scrivere poesie sul serio, nel 1951, non mi piaceva la poesia degli altri, la sentivo poco attuale. Così nacque l’idea di far poesie nuove, d’avanguardia. Si riprendeva la linea storica dell’avanguardia del primo ’900. Alcuni ci amavano molto, altri ci criticavano. Ma la critica è sempre appassionante, è uno stimolo perché incita a migliorarsi, non bisogna arrendersi, ma utilizzare la critica.
Le Sue poesie ci sembrano un po’
difficili. Che cosa vuole esprimere
esattamente?
È un bel problema… Uno scrive tante poesie perché pensa di avere molto
da dire: ho scritto anche poesie perbambini, per i miei figli. I poeti, generalmente, si rivolgono agli adulti,ecco perché le mie poesie vi sembrano difficili. Le poesie possono esserechiare, ma anche complicate. Il mondo è molto complesso: le mie poesievogliono rispecchiare questa realtà.
La prima raccolta di poesie si chiama“Laborintus” perché, secondo me, ilmondo è un labirinto in cui è difficile orientarsi.
Così anche la poesia diventa un percorso difficile, non chiaro…
Lei ha scritto una raccolta di poesie chiamata “Purgatorio dell’inferno”.
Pensiamo di sapere che per l’inferno intende la società, ma per purgatorioche cosa intende?
La società è una realtà faticosa, ma divertente. Un vero labirinto deve essere complicato altrimenti che gioco sarebbe?
Il mondo, oltre ad un labirinto è anche un inferno. È possibile, però pianificarlo, dargli un ordine.
L’uomo ha imparato a dare un ordine al mondo.
Anche il gioco dell’oca è un labirinto. Ho scritto un romanzo intitolato appunto “Il gioco dell’oca”.
Noi abbiamo studiato la Sua poesia “Piangi piangi”. Come mai fa tanti riferimenti alle armi e perché la poesia termina con i duepunti?
Questa poesia è nata da una filastrocca piemontese; folcloristica, che io ho trasformato in un elenco di cose diverse, di regali strani e “non confortevoli”, riferiti anche al tempo.
La poesia, nel finale, si trasforma in un messaggio positivo.
Termina, inoltre, con i due punti (licenza poetica) per far intendere che non è finita, potrebbe continuare.
Se noi iniziassimo una poesia, Lei ci aiuterebbe a continuarla?
È possibile, ma è difficile collaborare. La poesia è una cosa molto personale. Se voi volete, io posso darvi una mano, darvi la mia opinione. Oggi nella scuola si stimola a scrivere poesie e ciò mi sembra positivo.