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Lettera a chi non c’è stato: Una Marina di libri raccontata da Noemi De Lisi

Lettera a chi non c’è stato.

Cara Jane,
fino all’ultimo ho guardato verso la vasca delle ninfee sperando che arrivassi ma non è successo. Anche quando tutto era finito ho continuato a guardare, anche quando ero sul bordo della vasca e mi sono sporta sull’acqua (le ninfee ricoprivano la superficie, non sono riuscita a vedermi riflessa). Vorrei poterti domandare tante cose ma sono quattro anni che non parliamo né ci scriviamo (non hai mai risposto alla mia lettera ma non prenderlo come un rimprovero, è solo un ricordo). Voglio raccontarti tutto quello che ho visto, scriverti di com’è stato, così sarà diverso, sarà come se ci fossi stata anche tu. 

Una Marina di Libri è arrivata all’ottava edizione, è durata ben quattro giorni. Ti ricordi quando ancora andavamo all’università e ne sentivamo parlare (forse erano le chiacchiere dei nostri colleghi secchioni, quelli noiosissimi; ma noi stavamo comunque ad origliare perché leggere ci è sempre piaciuto, era la nostra salvezza), prima ci sembrava solo una specie di mercatino dei libri, passeggiavamo guardando mollemente le pile di libri sui banchetti, erano disposti lungo un perimetro (lo allestivano nell’atrio di un palazzo importante, ma dov’era? Io non me lo ricordo più). Passeggiavamo parlando e ci vergognavamo ad avvicinarci ai banchetti per poi andare via senza comprare nulla (prima non avevamo manco i soldi per comprare le sigarette. Quando ne trovavamo una per terra sana, era un giorno fortunato, ridevamo come pazze per la felicità, per la fortuna che avevamo avuto. Chissà se adesso fumi ancora oppure hai smesso come dicevi sempre). Se solo avessi potuto vedere cosa è diventato adesso questo festival! Adesso si svolge all’Orto Botanico, ci sono i libri e ci sono gli alberi; e l’ordine, la logica consequenziale della cosa non mi appare crudele ma naturalissima. L’ombra degli alberi proteggeva i libri, e sfogliando questi ultimi si sentiva qualcosa di “terroso” sotto le dita, in qualche modo il conflitto tra naturale e artificiale si era risolto (so che saresti impazzita per questo, me ne avresti parlato per due ore con tutte le tue teorie). 

Ogni spazio dell’Orto ospitava uno dei tanti eventi che si sono susseguiti durante le giornate, sia gli spazi interni che quelli esterni (in maggioranza) erano pieni di silenzi, di voci, di applausi. Era tutto un brusio, erano le cose mute che parlano, come dicevi tu: “Ascolta questo brusio, non si capisce niente, sono le cose mute che finalmente parlano fra di loro. Devi considerare l’insieme, non le singole conversazioni fra le persone. Lo senti adesso? Non ti pare una voce nuova?”, io ridevo e ti dicevo di sì anche se non capivo mai nulla (e forse è per questo che te ne sei andata, sono sempre stata poco intelligente). È venuta tanta gente da fuori per partecipare al festival: c’erano i nostri ex professori universitari, c’erano editori e scrittori importanti (non solo siciliani), c’erano musicisti, fotografi, c’erano tutti, c’era tutto. Non è più “solo” un festival dell’editoria indipendente, è un festival dell’arte, della cultura, dell’educazione. Ti sarebbe piaciuto tanto, le piccole bancarelle dei libri sono diventati stand di editori e ogni due passi ce n’era uno dove fermarsi e guardare meravigliati. Non ti saresti più vergognata di niente, se non ti fossi avvicinata, ti avrebbero chiamato loro con un sorriso, ti avrebbero fatto domande e regalato segnalibri. Non solo ti saresti potuta avvicinare agli stand, ma avresti potuto fare in modo così naturale da prendere un libro, aprirlo a caso a metà, mettertelo sulla faccia, sparirci dentro e respirare profondante: “Che buono, vorrei che inventassero un profumo con questo odore.” “Ma che dici…”. 

Ho presentato il libro che ho scritto nello spazio dei bambù, so che in qualche modo tu sei riuscita a saperlo lo stesso, anche se non ci parliamo più. Lo avrai comunque presagito, deve essere per forza così. Quando passeggiavamo sempre insieme, ti raccontavo tutti i miei incubi e piangevo perché mia nonna era morta e tu non c’eri stata a consolarmi perché ancora non ti conoscevo. Ti accusavo in qualche modo di non esserci stata prima: “Ma come avrei potuto?”, mi dicevi, “come facevo se manco ti conoscevo…”; io pestavo lo stesso i piedi per terra: “Dovevi saperlo, doveva essere una premonizione!”. Quando ho cominciato a scrivere il libro, “La stanza vuota” (alla fine l’ho intitolato così dato che gli altri non ti sono mai piaciuti), ti facevo leggere ogni poesia man mano che la scrivevo, e tu non ci capivi niente perché all’inizio neanche io ci capivo niente ma lo stesso eri piena di entusiasmo e dicevi cose che per me erano come un insulto, mi dicevi: “Quando pubblicherai e farai una presentazione, io mi siederò in prima fila e sarò l’unica ad aver visto nascere il libro fin dal primo verso”, e io mi rabbuiavo e ti rispondevo: “Mi prendi in giro?” (sai, ancora non mi è passata questa cosa, questa “paranoia” come la chiamavi tu. Mi sento sempre presa in giro, anche quando le persone dicono di amarmi). 

Il luogo della presentazione era nel viale subito a destra rispetto alla vasca delle ninfee. Alle mie spalle c’erano file di bambù (erano ritti ma ogni volta che guardavo verso la vasca e non ti vedevo arrivare, ho avuto l’impressione che si piegassero a poco a poco su di me, forse mi sarebbero crollati tutti insieme addosso). La presentazione del mio libro è stata solo una fra i molti altri eventi prettamente dedicati alla poesia: suggestivi reading serali, gare di poetry slam, riflessioni sulla poesia contemporanea. Ti saresti divertita, sembrava tutto organizzato solo per te (ti ricordi quando ci siamo incontrate per la prima volta e senza che ti domandassi niente ti sei messa a parlare di poesia e di quelle strane cose? A me sembrava che scherzassi perché parlavi smozzicando le parole, sembrava ti stessi inventando quella storia sulla poesia e del tuo amore per la scrittura proprio in quel momento. Io invece ti raccontai del rubinetto della cucina, quello che aveva cominciato a gocciolare e non aveva più smesso, di come mio padre avesse cercato di aggiustarlo ma non ci era riuscito –eppure sa riparare ogni cosa-, di come l’acqua dal rubinetto ogni giorno ticchettava sul lavabo senza pace, e che lo avrebbe fatto per sempre).

Quando Una Marina di Libri è finita, sono più triste del solito perché lì credevo sempre di riconoscerti nel profilo o nella schiena di qualcuno. L’ultima serata si è conclusa con un bellissimo duo di chitarre: le corde vibravano, le foglie e anche il cielo eppure a parte le dita dei musicisti, tutto il resto era fermo. Li fissavo e ho immaginato che fossi tu a suonare, ti ho ricordata nella tua vecchia stanza, seduta sul letto con la chitarra in braccio. I tuoi capelli a volte sfioravano le corde e io avevo paura, chissà perché, che si sarebbero impigliati e strappati di nota in nota. Guardavo loro che erano in due e così vedevo te e un’altra te (non una gemella, eri proprio tu ripetuta), e pensavo che dopo il loro spettacolo, sarebbero finiti gli eventi, e con loro anche la mia attesa; pensavo che dopo non avrei più saputo dove andare a trascorrere le giornate, mi domandavo a quali eventi avrei assistito adesso che avrebbero smontato tutto.

Ora che ti ho raccontato questi giorni a modo mio (il modo strano che ben conosci) posso fare finta che ci sia stata anche tu a Una Marina di Libri, e che sia stata seduta in prima fila alla presentazione del mio libro (a ridacchiare, a strizzare gli occhi perché non ci vedi da lontano, a vantarti di tutto quello che sai su di me che gli altri non sanno). 

Non so se questa lettera ti arriverà mai, non so dove tu ti sia trasferita, i tuoi amici non mi parlano, non mi hanno mai detto una parola su di te da quando sei andata via, non si ricordano più neanche come mi chiamo. La piegherò con cura e prima di andare a letto la metterò nel lavabo della cucina, le gocce che cadono dal rubinetto a poco a poco scioglieranno la carta. L’indomani non troverò più niente, neanche una piccola traccia che mi ricordi di averla scritta.

Con amore,

N.

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