Estratto da “Se il silenzio se io ascolto, se i tamburi” di Gianfranco Vacca | L’Altrove
Gianfranco Vacca riesce a mettere sulle pagine qualcosa che ti piace leggere e sentire, scritto in modo così originale, carezzevole e leggero nei toni. È la proposta di un pensiero espresso in modo morbido, quasi con levità, nel suo dirsi, stimolando sensazioni, percezioni di immagini per poi salire su elementi di pensiero profondo sul senso e lo svolgersi della vita in un percorso che coinvolge spazi e tempo, presente e passato e, forse, futuro.
Dalla postfazione di Gianfranco Isotta
Dammi la bellezza rubala (in me)
e che a me faccia ritorno.
Posale gli occhi
sul “regno di Arlecchino,
dal sogno portala al grido
sui colori dell’impeto
e poi
su di me faccia ritorno.
(Capri)
Chi pavoni
bianchi come cigni
chi broccati e sete
chi uccelli variopinti,
topazi,
e poi bevande e vino
– luci,
ognuno arricchiva la festa
gli imperi, il palazzo, i re.
“Sei tu certo
che il nostro vascello
è giunto alle porte di Bisanzio?”
Solo per voi
andrò ad impazzire l’Oriente
per portarvi
sollievo speranze visioni
nel bottino dei velieri
che mai più fanno ritorno.
(Capri)
Manderemo gli eserciti
le grandi tempeste
– spade e lance
e porteremo la passione in voi.
Sentiremo il freddo
e lo vedremo
è gelo assoluto
è l’Illuminazione
è gagliardo coraggio
risuscita le fiamme.
Quale ardore
ci rese immobili e vinti
nell’impossibilità
di giungere al cuore
immobili e fermi alle sue porte
in una certezza di fuoco.
(Capri)
Ma perché il pensiero – pensa
ed aggiunge idea ad altra idea
e domanda si arrovella
chiede indaga
– dove salirà mai
il cubo dell’arcobaleno?
Riusciremo in linea verticale
a discendere liberi giù dal cielo
bacio contro bacio
labbro contro labbro
senza deviare, in perpendicolare
uno disteso contro l’altro
in piedi, nell’aria.
(Capri)
Neve e bianco
si confondono insieme
nella notte
un ciliegio è in fiore
e risplende nel buio.
Il cielo cupo
che incombe la primavera
rende alpino lo sguardo
i fiori bianchi sui rami
come fioccasse l’inverno.
(Roma)
Il Maestro e Margherita
Là dove il buio è ancora fondo
tocca e sorge l’ammirato.
Il gruppo dei cavalieri aspettava
la fanteria
la legione fulminante
la coorte alaria
aspettava il Maestro
chi ne sarà l’amante?
Bruciarono tutte le lune
dodicimila lune
per una sola luna
chi reggerà l’ascesi,
chi aiuterà il rubino
quando tu maestro
porterai le fiamme?
ed il nostro sguardo
inizia il rosso?
Il tempo cominciò a sorgere
su dai grandi infiniti
e sulle notti
notti immense, sole
dove maestro, tu
hai predisposto il cobalto
– sul nero abisso un solo raggio –
mentre la sensazione di te, sul mondo
ora chiede alla luce che sorge
dove giunga tutto questo spazio
all’altrui respiro.
(Roma)
Quando sarai sulla cima delle cose
manterrai il coraggio
se anche il mare si allontano
via da te?
E se il tuo cuore batte
lontano,
potrai lasciarlo andare
senza frangerne l’assenza?
(Capri)
Un’apertura nel cielo, grande
emersa sulle derive lontane
scruta i mari in fiero bagliore
quando fu vela e terra e mondo –
e nel suo lampo
ogni cosa,
ai mondi milioni di lontananze,
in ogni cosa
solo dubitando la luce
lo stupore risale gli abissi
come chiarezza estrema
quando fu diamante.
(Capri)
L’AUTORE
Gianfranco Vacca (1959 Napoli) a vent’anni si trasferisce a Genova, poi a Roma, per tornare infine a Capri, dove risiede. Nel 2011 pubblica Sarebbe stato un ottimo pazzo (Campanotto, premio Nabokov 2014.) Due sue composizioni accolte nella miscellanea dal titolo Le spigolature dell’Onagro, in onore del Professor Gianroberto Scarcia compaiono insieme ad altri suoi editi ed inediti in Ancora introvabile il padrone del silenzio, e-book pubblicato nel giugno 2013 da Larecherche.it. Sempre nel 2013 pubblica la raccolta Cinepresa mistica (puntoacapo Editrice) accolto da una preziosa recensione di Sandro Angelucci sulla rivista on-line Versante Ripido, mentre due poesie tratte dal libro sono pubblicate nella rivista letteraria on-line LaRecherche.it. È inserito nel Fiore della poesia Italiana, a cura di M. Ferrari, V. Guarracino, E. Spano (puntoacapo Editrice, 2016)